CHI VINCE E CHI PERDE DOPO IL REFERENDUM ALITALIA?

Hanno perso tutti !

Roma, 26 Aprile 2017

Dopo la “vittoria” del “no” al referendum Alitalia verso il commissariamento, questo è il dato che si sta profilando all’orizzonte. Il Cda, della Compagnia in una nota diramata a margine dell’esito referendario, ha fatto sapere voli non si fermano. Il 27 aprile assemblea dei soci per avviare le procedure di legge dopo il no al referendum. Una affluenza quasi bulgara, l’ 87%  dei dipendenti ai vari livelli ha partecipato al voto. Ma, chi ha vinto con il no in nettissima maggioranza? Ha vinto l’affluenza, questo è l’unico dato certo, con il 67% dei voti, per un totale di 6.800 lavoratori che hanno bocciato l’ennesimo piano di ristrutturazione, o meglio di “salvataggio “della compagnia. Gridare vittoria, tuttavia, appare oltre modo ottimistica come affermazione. In realtà, questo “no”, sembrerebbe più che altro una scelta suicida, prevalsa sulla volontà di affrontare sacrifici. Se non siamo in grado di affermare chi e se abbia vinto in questa competizione referendaria, possiamo con assoluta certezza asserire che il grande sconfitto è il Governo, che, ottimisticamente aveva già firmato un pre-accordo con i sindacati. Ma hanno perso anche i sindacati, che quel piano, seppur turandosi il naso, come si dice in situazioni del genere, quel piano lo avevano avallato. Presentandosi alla vigilia del voto senza offrire ai 12.500 dipendenti una piattaforma convincente. Tra gli sconfitti, ci aggiungerei anche i lavoratori, perché, quella che si sta presentando sarà di certo una stagione che potrebbe essere ancora più dura di quella prevista dallo stesso piano di recupero. Un’altra sconfitta per la politica italiana, e più in generale del sistema-Paese, che negli anni ha investito oltre 7,3 miliardi per tenere in piedi Alitalia. Ha perso anche il principale partner di Alitalia – Etihad –  il tanto decantato partner, venuto da Oriente dal precedente Governo a guida Renzi. Il “salvatore” che dopo aver rilevato il 49% della società non ha dotato il vettore di un management in grado di mettere a profitto la Compagnia italiana e non dissipare, come sta succedendo, 1 milione di euro al giorno.  Il “no” ha prevalso in tutti i principali aeroporti, i dipendenti di Alitalia hanno bocciato il preaccordo per il salvataggio della compagnia a: Roma, dove il no ha superato il 50% dei 10.101 votanti.  Il no ha prevalso anche nei due seggi approntati negli scali di Milano, ad esprimersi è stato l’87% dei dipendenti, 10.101 su 11.602 degli aventi diritto. Si avvicina perciò l’amministrazione straordinaria e il commissariamento della compagnia. Ma facciamo un passo indietro nel tempo. Quanto è costato ai contribuenti “salvare” Alitalia?  “Tra 1974 e 2014 è costata 7,4 miliardi di soldi pubblici” L’area Studi di Piazzetta Cuccia ha calcolato l’onere complessivo a carico della collettività degli anni di gestione pubblica e di quelli seguiti al fallimentare intervento dei “capitani coraggiosi”. Se si pensa che già tra 1974 e 2007 il saldo negativo era stato di 3,3 miliardi, saliti a 4,1 nei sei anni successivi. Ma il prezzo più alto per salvare Alitalia, gli italiani lo hanno pagato dal 2008 ad oggi. La cifra del salvataggio è spaventosa, agli italiani è stato chiesto un ulteriore esborso di 7,4 miliardi di euro. Mentre il costo per gli italiani sotto la gestione commissariale dal 2008 al 2014 è stato invece di 4,1 miliardi, In particolare l’onere a carico del settore pubblico e della collettività prodotto dalla gestione “in bonis” dal 1974 al 2007 è stato di 3,3 miliardi- un pozzo senza fondo, un fiume di denaro spaventoso. Chi sono i responsabili de terzo “fallimento” della Compagnia e quanto sono costati agli italiani? Sotto la lente di ingrandimento della Magistratura finì l’ex AD Cimoli, finito poi a giudizio per il crac da 4 miliardi del 2008

Con l’accusa di: “dissipazione della compagnia di bandiera con operazioni abnormi sotto il profilo economico e gestionale”. Il giudice sollecitò all’epoca dei fatti anche accertamenti sulla responsabilità dei governi che si succedettero dal 2001 al 2007.Significativo il riferimento allo stipendio-monstre del manager, che, mentre la compagnia andava a rotoli, si metteva in tasca 2,8 milioni l’anno, il triplo del suo omologo al vertice di British Airways. L’indagine culminata con una condanna ad 8 anni e 8 mesi per il manager ed un anno di interdizione da cariche amministrative, sfociò in ricco dossier prodotto dalla Procura, dal quale emersero super-bonus e compensi di 20 ex manager tra i quali Francesco Mengozzi, Giancarlo Cimoli, Giuseppe Bonomi e Jean-Cyril Spinetta. La relazione degli avvocati Giovanni Tognon ed Ernesto Fiorillo (presidente di Consumatori Associati) evidenziò come nel 2005 Cimoli, in qualità di presidente e amministratore delegato, abbia percepito più di 2,7 milioni, sei volte lo stipendio del numero uno di Air France e il triplo rispetto a quello di British Airways. «In maniera sorprendente – scrivevano gli avvocati Tognon e Ernesto Fiorillo – nel 2005 una delibera del CdA raddoppia lo stipendio a Cimoli che passò a 2.791.000 euro l’anno nonostante l’Alitalia continuava a registrare ingenti perdite». I due legali denunciarono come «gli amministratori delegati, e l’intero CdA, avevano quale unico interesse la conservazione del proprio incarico con una evidente incuria della gestione e della produttività della società». I numeri, le cifre sono veramente impressionanti, se si pensa che l’ex numero uno di via della Magliana, tra il 2004 e il 2007, si era intascato circa 6 milioni di euro. Nel primo anno di presidenza, Cimoli percepì la somma di 1.522.996 euro (190.375 euro al mese) a fronte di una perdita di bilancio di 813 milioni. Nello stesso periodo, mentre Alitalia «più vola e più perde» (parole dello stesso Cimoli), la concorrente British Airways era in utile per 333 milioni e il suo capo Rod Eddington, tra stipendio e bonus, aveva guadagnato la metà del collega italiano: 776mila euro. Solo un po di più rispetto al transalpino Jean-Cyril Spinetta, che a fronte di un utile di 98 milioni, nell’esercizio 2004-2005 è stato retribuito con 710 mila euro. Se l’era cavata meglio l’omologo di Klm, Leo Van Wijk, con 1,08 milioni guadagnati a fronte di un utile di 261 milioni.

Come avevamo detto, nel 2005 era arrivato il «raddoppio», ma nel 2006 si torna a quota 1,5 milioni e per i soli due mesi di guida nel 2007 giunge un compenso di 131mila euro. La società non era stata avara né con il predecessore di Cimoli, Francesco Mengozzi (un milione nel 2003 e 1,38 milioni tra stipendio e buonuscita. La domanda è semplice e come si suol dire spontanea, ma può un manager percepire questo immenso fiume di soldi avendo fallito il suo obiettivo, procurato gravissimi danni alla Compagnia, al Paese, in termini di immagine, e soprattutto ai lavoratori che hanno perso soldi e molti di essi anche il posto di lavoro? Funzionerebbe alla stessa maniera per un imprenditore fallito?

La situazione è di nuovo drammatica per i lavoratori Alitalia, il sindacato dovrà accettare almeno 2mila uscite e il taglio del 30% dello stipendio per piloti e assistenti di volo. Mentre il governo dovrà fare i conti con la richiesta di ammortizzatori sociali. Le scorte in cassa sono sufficienti solo fino a fine aprile. Il fabbisogno è di almeno 900 milioni, di cui 500 dovrà sborsarli Etihad e Cai. A mettere benzina sul fuoco ci pensa il ministro per lo sviluppo economico, Carlo Calenda, le cui dichiarazioni impietose, sulla cattiva gestione dell’azienda , si schiera con il governo in difesa del personale, suscitando l’ira dei sindacati .

Alitalia gestita male, nessun esubero è permesso. Questo quanto affermato dal ministro Calenda. “La situazione di Alitalia indica che l’azienda è stata gestita male”, non si può parlare di esuberi “Alitalia è un’azienda totalmente privata , con problemi evidenti di gestione” trovo inaccettabile che una gestione negativa ricada sui lavoratori.  Così ha continuato il ministro ,“Noi abbiamo detto che non si può parlare di esuberi prima di conoscere il piano industriale. Se la soluzione al problema si risolve solo tagliando il personale significa che Alitalia è un’azienda che non funziona”. Sulla stessa linea , Barbagallo: Calenda ha ragione, management non credibile Sulla vicenda Alitalia, “ha ragione il ministro Calenda. Lo avevamo detto anche noi qualche giorno fa: il management di questa azienda non è credibile, non solo perchè, dopo aver fallito su quello precedente, non ha ancora presentato il nuovo piano industriale, ma anche perchè sembra averne uno inaccettabile”. “Se fossero confermati i tagli indicati, la consistenza sarebbe tale da prefigurare una inevitabile dismissione della compagnia, ancora italiana benchè non più pubblica.Le categorie hanno chiesto un incontro urgente per sgombrare il campo da proposte inaccettabili e insostenibili”, ha concluso Barbagallo. Noi concludiamo con una triste considerazione, a pagare sono sempre e solo i giusti !

Sergio Angrisano

Direttore Editoriale - giornalista televisivo e scrittore