Politica

IL RE E’MORTO, VIVA IL RE

Napoli, 24 luglio 2022

Ciro Silvestri

Nell’Europa prerivoluzionaria di Antico Regime, la morte del re veniva annunciata in contemporanea con l’avvento del suo successore, ricorrendo alla formula: “il re è morto, viva il re!”.

In uno strano gioco di corsi e ricorsi, sembra proprio quello che è accaduto qui, in Italia, in questi giorni dell’infuocato anno di grazia 2022.

La notizia delle dimissioni di Draghi ha creato non poche fibrillazioni nel mondo della politica e il vero artefice dello scenario attuale è stato il Presidente Mattarella.

Riandiamo brevemente ai fatti. Il Presidente del Consiglio, preso atto di segnali di sofferenza del Movimento Cinque stelle di Conte, che potrebbe ridurre l’ampiezza del sostegno al suo Governo, rassegna le dimissioni e sale al Quirinale. Costui impiega solo 47 minuti (nella cabala napoletana 47 è “il morto che parla”) per respingere le dimissioni di Draghi e rimandarlo alla verifica parlamentare.

I Presidenti di Camera e Senato, interrompendo una consuetudine parlamentare consolidata, decidono di far iniziare tale verifica al Senato. L’intervento di Draghi è incentrato sull’assoluta necessità di non subire più rallentamenti di sorta, con il che, neanche troppo implicitamente, chiede una sorta di riconoscimento di “superpoteri”, al di sopra e al di fuori del consenso dei partiti. La richiesta mette in forte imbarazzo i Cinque stelle, che restano con il cerino in mano dell’apertura di una crisi al buio, ma crea anche non pochi problemi ad altri partiti che sostengono il Governo Draghi.

I primi si sfilano ingenuamente dalla votazione, come per dire: “non siamo stati noi”, e si affidano alla tenuta della maggioranza. I secondi colgono l’occasione per ricordare a “super Mario” che “l’uomo solo al comando” non è gradito e, come fu per Salvini nell’estate del 2019, non hanno esitato a sfiduciare lui e il suo Governo.

Eppure, stavolta l’uomo che puntava al dominio assoluto ha un potere ben maggiore, al punto da riuscire a squilibrare i rapporti di forza nei partiti, tant’è che i ministri preferiscono restare tutti al suo fianco, sconfessando le decisioni dei loro stessi partiti: la stessa scelta del fido Di Maio che li aveva anticipati tutti di qualche settimana.

Nonostante le defezioni, però, il Presidente Draghi può contare comunque su una qualificata maggioranza, ma questo a lui non piace perché non ama vincere, ma stravincere. Torna dunque al Quirinale e conferma la sua volontà di lasciare, né è dato sapere se il Presidente Mattarella abbia insistito per farlo restare, visto che la maggioranza c’è e il momento è, come ben noto, straordinariamente  delicato. Avrebbe dovuto essere una questione di responsabilità!

Tuttavia, Il Presidente stavolta non ha esitazioni, non prova a conferire altri incarichi, non cerca altre soluzioni. Perché?

Il sistema politico è in pericolo, si è osato troppo, e trenta mesi di gestione del Paese fortemente autoritaria lo espongono al pericolo di azzeramento di una intera classe politica. Lo scossone sarebbe stato molto più deflagrante dello scandalo di “mani pulite” della Prima Repubblica.

Il Paese è in fermento e sono tantissimi i gruppi e i nuovi partiti che si stanno organizzando per la primavera del 2023 e tutti con ottime probabilità. Ci vuole l’idea geniale per accontentare tutti, perché il presidente in carica non può correre il rischio di restare in carica per sei anni con un potenziale Parlamento che lo ritiene responsabile, al pari dei tradizionali partiti, della compressione della libertà che abbiamo subito in questo periodo. Allora arriva l’idea: scioglimento anticipato delle Camere, che salva capre, cavolo e lupi:

i parlamentari salvano il diritto al vitalizio. L’opposizione antisistema gioisce per la vittoria, anche se di Pirro. I partiti tradizionali intravedono la possibilità, con qualche aggiustamento, di poter restare ben saldi ed attaccati al potere.

Viene da chiedersi come sia stato possibile giungere a un tale livello di degrado istituzionale

L’ opposizione reale, quella che ha animato le piazze italiane, non ha sufficiente tempo per trovare intese, fare le liste e raccogliere le firme entro Ferragosto.

È partita una corsa forsennata al raggiungimento del risultato che sarà fortemente condizionato da troppe incognite, ma intanto la parvenza di democrazia è salva con il democratico ricorso alle urne.

Stiamo correndo il rischio di legittimare l’ennesima truffa elettorale ordita per non dare voce al popolo italiano. Dovremmo sperare che i leader della opposizione, in queste poche ore che restano, compiano un miracolo e sinceramente ce lo auguriamo con tutto il cuore.

Però è necessario che anche il potere recepisca una cosa: così facendo, agendo con questa inaudita spregiudicatezza, corrono il rischio di perdere veramente tutto.

Il popolo è cresciuto, è maturato; le comunità pensanti, i movimenti, i comitati, i coordinamenti sono in cammino. L’élite partitocratica è al limite, ha tirato troppo la corda, e stavolta non sarà sufficiente cambiare l’inquilino di palazzo Chigi per assicurare un ricambio credibile, perché gli italiani ricordano bene che i dpcm i Dl e le Leggi che hanno mortificato la nostra Costituzione e la nostra dignità di cittadini, in un modo o nell’altro e in vario grado, sono stati sostenuti da tutti, e non gli servirà correre a cancellare i post pubblici per azzerare la memoria e alterare la realtà. Quella memoria e quella realtà, fatta di tanti continui tradimenti al Popolo, sono scritte nella sofferenza, nelle mortificazioni e nelle umiliazioni di tutti gli italiani a cui sono stati negati dignità e rispetto, privandoli dei diritti più elementari.

Forse il prossimo autunno ci riserverà una vera, bella stagione di mobilitazione, e questa volta dobbiamo, e forse possiamo, augurarci una vita brevissima per questo venturo Parlamento farlocco, che nasce sulla reiterazione sfacciata di un inganno che viene da lontano, ma che una maggioranza sempre crescente ha ormai smascherato: è questo il popolo che, con coscienza democratica e civile, saprà trovare la strada per riappropriarsi della propria sovranità, per tonare a sentirci degni di essere Italiani.

Sergio Angrisano

Direttore Editoriale - giornalista televisivo e scrittore