Napoli

Intervista a Fabio Aramini: luci e ombre sui Bronzi di Riace

Napoli, 10 Maggio 2023

A.Russo

L’archeologo Roberto Spadea e la Soprintendente Elena Lattanzi richiesero il supporto dell’Istituto Centrale per il Restauro per progettare un nuovo sistema di illuminazione della sala Piacentini, nella quale erano esposti e conservati i Bronzi di Riace

Antonio Russo

Fabio Aramini è funzionario tecnico scientifico, direttore della Sezione Fotometria e Spettrofotometria del Laboratorio di Fisica dell’Istituto Centrale per il Restauro dagli anni ’80- Dal 1986 è docente presso l’ICR di Fisica Applicata ai Beni Culturali e Museotecnica a Roma ed a Matera. È stato relatore di numerose tesi. Insegna anche al Master in Lighting Design dell’Università la Sapienza di Roma

Si è occupato di conservazione preventiva, in particolare della prevenzione dei danni da luce causati da fonti naturali ed artificiali e delle sollecitazioni fisiche che queste producono, in particolare da negli ambienti confinati (teche, ipogei ecc.). In questo quadro, ha sperimentato l’impiego di sistemi di conduzione della luce, ed in particolare di guide di luce ad emissione laterale (Museo della Capilla Real di Granada nel 1992, Cenacolo Vinciano nel 1994) e di ottiche asimmetriche per LED. Conduce inoltre ricerche spettrofotometrica sui fenomeni di fotoevanescenza (ad es. ingiallimento, alterazione cromatica, infragilimento) che le radiazioni luminose possono produrre su supporti, pigmenti e coloranti. Ha effettuato studi e consulenze sulle strategie illuminotecniche in grado limitare e prevenire l’innesco di fenomeni di colonizzazione di organismi autotrofi (che si sviluppano con la luce) in ambienti ipogei (Domus Aurea, S.Clemente, Case Romane al Celio in Roma, Criptoportico di Traiano, Necropoli Etrusca di Tarquinia, Basilica Sotterranea di Porta Maggiore ecc.). È stato consulente o progettista di varie installazioni impiantistiche museali, tra le quali la Cappella Reale di Granada, la Galleria Borghese, la Sezione Subacquea del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria (Bronzi di Riace), del Museo Archeologico di Capocolonna (Crotone), del Cenacolo Vinciano e della Cappella degli Scrovegni a Padova.

“Nel 1996, dopo un lungo periodo di restauro e rimozione delle terre di fusione per prevenire la corrosione interna, le statue tornarono ad essere esposte su dei nuovi basamenti antisismici. Erano molto più bassi dei precedenti e ponevano i bronzi ad un’altezza di poco superiore a quella del pubblico. L’archeologo Roberto Spadea e la Soprintendente Elena Lattanzi richiesero il supporto dell’Istituto Centrale per il Restauro per progettare un nuovo sistema di illuminazione della sala Piacentini, nella quale erano esposti e conservati i Bronzi. L’impegno fu preso seriamente, e portò anche ad un nuovo studio che riprogettasse il modo di affrontare l’esposizione di opere di questo tipo. La soluzione venne individuata nell’utilizzo di un sistema costituito da tre diverse tipologie di sorgenti “tecniche”, che consentono di evidenziare in modo nitido e senza disturbi il modellato ed i dettagli delle opere, permettendo inoltre di osservare le statue girando loro intorno, senza subire l’abbagliamento dalle fonti di luce. Questa tecnica viene denominata GOBO e permette di illuminare solo la superficie delle opere, “scontornandola” da ciò che potrebbe portare disturbo. Non ci riuscimmo subito. Uno dei problemi fu costituito anche dalla differenza di luminosità della statua A: la patina originale e ben restaurata di questa statua riflette circa il 40% in meno la luce rispetto alla B.” Gli adoni del mare diedero da fare come racconta Aramini.

E spiega anche :” Gli apparecchi in commercio nel campo architetturale non ci consentivano di risolvere il problema. Dovemmo cercare ed importare anche un apparecchio speciale

dall’Inghilterra, che risolse in modo efficace le esigenze espositive. Per far capire meglio devo citare un episodio. Nei mesi precedenti, i tempi di visita e permanenza in sala Bronzi apparivano abbastanza contenuti e raramente traspariva entusiasmo. La sera che ci pervennero le nuove apparecchiature effettuammo tutti i miglioramenti che ritenevamo necessari. La mattina dopo, all’apertura del museo eravamo lì a registrare le reazioni dei visitatori: le prime visitatrici facevano a gara per ritrarsi in foto, in particolare con la statua A, che rappresenta il giovane, qualche volta avvicinandosi sfacciatamente e suscitando il richiamo da parte dei custodi. Ricordo anche, con particolare piacere, le scolaresche di bambini che si disponevano tutto intorno alle statue ad ascoltare con attenzione le loro maestre. Il regime di visita era completamente cambiato ed avevamo raggiunto l’obiettivo che con Roberto Spadea avevamo perseguito: esprimere al meglio, con la luce, la bellezza di queste opere e metterla a diretto contatto con le sensazioni di ogni visitatore, eliminando impedimenti, disturbi o mediazioni. Questo modello espositivo è rimasto in funzione per parecchi anni, fino al trasferimento dei bronzi nel 2009 nel cantiere di restauro “aperto”, realizzato nell’atrio della Regione. Nelle successive esposizioni, dopo il trasferimento in un’altra ala del museo, questa esperienza non è stata però ripresa. Nel laboratorio allestito presso la Sala Monteleone del Consiglio Regionale della Calabria, il Laboratorio di Chimica dell’ICR realizzò una campagna di misure volte a determinare la velocità dei fenomeni di corrosione sulle superfici delle due statue. Io li affiancai con misure di controllo spettrocolorimetrico sulle superfici sottoposte a misura. Realizzai inoltre un data base di 22 punti di misura sulla statua A e 35 sulla statua B, che consentiranno, anche fra molti anni, di eseguire dei rilevamenti sulle dinamiche di alterazione delle patine, verificabili ogni volta che si ritenga di avvisare segnali di processi di degrado. Sia l’occhio umano che la fotografia non sono dei buoni testimoni in questo caso. Queste tecniche di misura strumentale, normalmente applicate sui dipinti, costituiscono invece procedure universali e consolidate. Garantiscono ad esempio di individuare eventuali alterazioni anche un centinaio di volte prima che si rendano evidenti ad occhio, e quindi costituiscono una delle forme di monitoraggio indispensabili, al servizio di quella che noi chiamiamo “conservazione preventiva.” Il mistero dei Bronzi di Riace tra luce e ombre fa parlare ancora di sé attraverso i millenni e gli uomini che hanno proceduto a conservarli dalle corrosioni dalle terre di fusione piene di acqua salina come Roberto Ciabattoni e Nuccio Schepis, l’ aedo dei Bronzi di Riace, chi come il docente Riccardo Partinico sostiene che siano Temistocle e Pericle contro la teoria di Daniele Castrizio che siano Polinicie ed Eteocle Queste statue celano sia la luce sia l’oscurità che alberga nell’animo umano.

Sergio Angrisano

Direttore Editoriale - giornalista televisivo e scrittore