Autodeterminazione e fine vita – Diritto di Scegliere Dignitosamente
Napoli,16 Novembre 2024
Esmeralda Mameli
Il diritto all’autodeterminazione è riconosciuto in molteplici documenti e trattati internazionali e nazionali, è considerato un principio chiave per garantire la libertà individuale e il rispetto della dignità umana, specialmente in ambito sanitario e nei contesti di autodeterminazione politica.
Pur essendo ampiamente riconosciuto, rimane un tema complesso e talvolta controverso, specialmente quando si tratta di decisioni sul fine vita.
Ogni individuo ha il diritto di decidere autonomamente sul proprio corpo e sulla propria vita anche in situazioni di malattia terminale o di sofferenza estrema. In questo contesto temi come il consenso informato, il testamento biologico, l’eutanasia e il suicidio assistito risultano imprescindibili dal concetto di autodeterminazione terapeutico.
Non bisogna legittimare il diritto di morire quanto valorizzare la massima declinazione dell’autonomia decisionale del paziente.
La Legge n.219/2017 rappresenta una tappa fondamentale nel riconoscimento dei diritti dei pazienti in Italia:
L’art.1 sancisce il diritto all’autodeterminazione, garantendo al paziente la possibilità di scegliere liberamente in merito ai trattamenti sanitari a cui sottoporsi.
L’art.2 mira a evitare l’accanimento terapeutico, che prolunga la sofferenza senza reali benefici per il paziente.
L’art.3 riconosce il diritto di ascoltare il parere del minore in base alla sua maturità, ciò è significativo perché permette di considerare i desideri e i valori del paziente, anche quando questo non è ancora legalmente maggiorenne.
L’art.4 delinea le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) o testamento biologico che danno la possibilità anche a una persona maggiorenne, capace di intendere e di volere, di esprimere in anticipo le proprie volontà sui trattamenti sanitari, nel caso in cui si trovasse nell’incapacità di autodeterminarsi. Il documento può indicare anche un fiduciario che rappresenta il paziente nelle decisioni sanitarie, qualora il paziente non fosse in grado di farlo. È consentita anche la possibilità da parte del paziente di revocare le DAT.
L’art.5 rafforza l’idea di un processo collaborativo tra paziente e medico. In questo contesto il paziente è parte attiva delle decisioni sulle cure, la cui pianificazione condivisa garantisce che il trattamento sia sempre in linea con i desideri e i valori del paziente stesso, rafforzando così la fiducia e la qualità del rapporto medico-paziente.
L’art.6 prevede la registrazione ufficiale delle DAT per garantire che le volontà del paziente siano rispettate in modo tempestivo e senza ambiguità. Avere un registro nazionale accessibile ai medici riduce il rischio di fraintendimenti o di mancata applicazione delle volontà espresse. È contemplata la presenza di un supporto psicologico per il paziente e i familiari, una componente importante, che riconosce il peso emotivo e psicologico delle decisioni sul fine vita.
In Regole di fine vita e poteri dello Stato: sull’ordinanza n.207/2018 della Corte costituzionale, in Il caso Cappato, si legge che il riconoscimento è ‘’non tanto di un diritto a morire con dignità, quanto piuttosto un diritto alla piena dignità anche nel morire’’.
Questo riconoscimento mette al centro il principio di autodeterminazione, ponendo un’attenzione particolare alla qualità delle cure e al rispetto della persona, aprendo un dibattito importante su come lo Stato e il sistema sanitario debbano affrontare le scelte difficili legate al fine vita.
L’eutanasia rappresenta una delle sfide etiche e legali più complesse della medicina moderna, richiede considerazioni approfondite, che coinvolgono non solo aspetti legali, ma anche riflessioni morali, religiose e sociali sul valore della vita e sul rispetto della dignità umana.
In Italia l’eutanasia attiva è illegale ed è punita dal Codice Penale (art. 579 e art. 580), tuttavia, la sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019 (caso Cappato) ha aperto alla possibilità del suicidio assistito in casi specifici, stabilendo che non è punibile chi aiuta un paziente capace di intendere e di volere a porre fine alla propria vita, a condizione che il paziente soffra di patologie irreversibili che causano sofferenze intollerabili e dipenda da trattamenti di sostegno vitale.
Il suicidio assistito è una pratica in cui un medico o un’altra persona fornisce a un paziente i mezzi per porre fine alla propria vita, solitamente attraverso la prescrizione di farmaci letali, ma senza compiere l’atto direttamente. A differenza dell’eutanasia, in cui il medico somministra attivamente il farmaco letale, nel suicidio assistito il paziente decide autonomamente di assumere il farmaco per porre fine alla propria vita.
Alcuni critici del suicidio assistito sostengono che invece di promuovere questa pratica, i sistemi sanitari dovrebbero investire maggiormente nelle cure palliative (approccio terapeutico finalizzato a migliorare la qualità della vita dei pazienti con malattie gravi o terminali e dei loro familiari, alleviando i sintomi, il dolore e le sofferenze fisiche, psicologiche, sociali e spirituali del paziente) e nella terapia del dolore (ha come obiettivo principale quello di ridurre l’intensità del dolore per migliorare la qualità della vita del paziente senza ricorrere a soluzioni estreme).
Il suicidio assistito tocca i principi di autodeterminazione, dignità e il ruolo dello Stato nella tutela della vita.
In molti paesi rimane una pratica illegale.
Il dibattito su come bilanciare il diritto di autodeterminazione con principi etici e valori sociali è ancora aperto in molte parti del mondo. Tuttavia, viene sempre più riconosciuto il valore dell’autodeterminazione, soprattutto in ambito medico, rispettando le scelte personali anche quando si tratta di decidere come affrontare la fine della propria esistenza.
A livello internazionale le disposizioni di legge riguardo all’eutanasia e al suicidio assistito variano in base al paese in cui si risiede.
Nei Paesi Bassi, in Belgio, e in Lussemburgo, l’eutanasia è legale e regolamentata per i pazienti che soffrono di malattie terminali o di dolori insopportabili.
In Svizzera, il suicidio assistito è legale, e diverse organizzazioni, come Dignitas ed Exit, offrono questo servizio sia ai cittadini locali che agli stranieri.
Negli Stati Uniti, il suicidio assistito è legale in alcuni stati (es. Oregon, Washington, California) sotto rigide condizioni.
La vera sfida è trovare un equilibrio tra il rispetto delle scelte individuali e la tutela del valore della vita, offrendo un sistema di supporto che non solo allevi il dolore fisico, ma che consideri anche il benessere psicologico, emotivo e spirituale del paziente.