“Quando lo sport diventa un rischio: la riflessione di Max Temporali sulla tragedia del piccolo Sid Veijer
Napoli, 9 Gennaio 2025
Sergio Angrisano
La tragedia che ha coinvolto il piccolo Sid Veijer, morto a soli 7 anni mentre si allenava su una pista per go-kart in Olanda, ha riacceso il dibattito sulla sicurezza dei minori negli sport motoristici. La vicenda ha suscitato reazioni profonde non solo nel mondo del motociclismo, ma anche tra chi riflette sulla responsabilità degli adulti verso i giovani atleti. Tra le voci che si sono levate, quella di Max Temporali, noto giornalista e commentatore della Superbike per Sky, ha attirato l’attenzione per il suo punto di vista critico e personale. Attraverso un post su Facebook, Temporali ha espresso il proprio dolore e ha posto l’accento su un tema delicato: l’età giusta per avvicinarsi al motociclismo.
Temporali, forte della sua esperienza da motociclista e, soprattutto, da genitore, ha raccontato come, vent’anni fa, si trovò di fronte a una scelta simile: sua moglie avrebbe voluto acquistare una minimoto per il loro figlio, ma lui si oppose, condizionato dal proprio passato, segnato da esperienze dolorose. “Mi sono violentato per non cedere alla tentazione”, afferma, spiegando quanto sia stato difficile rinunciare a condividere con i suoi figli quella che per lui era l’unica forma di felicità: le moto. La sua riflessione non nasce da un semplice istinto protettivo, ma da una consapevolezza maturata nel tempo. Ha iniziato a correre a 17 anni, dopo aver tanto desiderato quel momento e aver lottato per ottenerlo. Oggi, però, i tempi sono cambiati: il motociclismo inizia presto, spesso spinto dai genitori stessi, e questa precoce immersione nello sport porta a chiedersi quanto sia giusto accelerare la crescita di giovani promesse.
“La fiamma parte dai genitori”, osserva Temporali, e aggiunge una riflessione che colpisce per la sua lucidità: “Lo sport, come lo viviamo oggi, è un generatore di illusioni. Non abbiamo figli campioni, ma ragazzi che dovrebbero imparare cos’è la normalità”. La sua proposta è chiara e radicale: vietare l’uso delle due ruote ai bambini fino ai 14 anni, età in cui inizia a formarsi una maggiore consapevolezza. Per Temporali, il problema non riguarda solo l’abilità tecnica, ma la capacità di comprendere i rischi. Fino a quell’età, secondo lui, i bambini dovrebbero essere semplicemente bambini, protetti dagli adulti da scelte che potrebbero costare loro la vita.
Temporali non manca di riconoscere gli sforzi delle scuole di motociclismo italiane e della Federazione, che lavorano duramente per garantire la sicurezza dei più piccoli. Tuttavia, questo non basta a placare il suo senso di colpa davanti alla foto di Sid Veijer. “Non è morto facendo ciò che amava, ma ciò che amavano i genitori”, afferma con amarezza, puntando il dito contro un sistema che spinge sempre più in basso l’età d’ingresso nelle competizioni. Una dinamica che, secondo Temporali, trasforma i bambini in “piloti d’allevamento”, riducendo la capacità di percepire il pericolo.
La tragedia del piccolo Sid non è purtroppo un caso isolato. Episodi simili si sono verificati anche in altri contesti, spesso accompagnati da un entusiasmo mediatico che esalta le capacità precoci dei bambini, come nel caso di quel bimbo di 5 anni alla guida di una Lamborghini a oltre 300 km/h. In questi momenti, la società applaude l’eccezionalità, ma quando accade l’irreparabile ci si interroga su cosa sia davvero giusto. È qui che subentra, come dice Temporali, un senso di colpa collettivo: abbiamo spinto troppo in là i limiti, dimenticando che l’infanzia dovrebbe essere prima di tutto un tempo di crescita, gioco e protezione.
La riflessione di Max Temporali apre uno squarcio su una realtà spesso idealizzata, quella dei giovanissimi atleti, che troppo spesso vedono il proprio futuro disegnato da sogni che non sono i loro. Il caso di Sid Veijer diventa quindi un monito per tutti: genitori, istituzioni sportive e società civile devono interrogarsi sul significato di sport e competizione a un’età in cui l’unica sfida dovrebbe essere quella di crescere serenamente.
In questo dibattito, un ruolo fondamentale potrebbe essere svolto da una regolamentazione più severa, che stabilisca limiti chiari per la pratica di sport ad alto rischio. Se da un lato è importante non spegnere la passione dei più giovani, dall’altro non si può ignorare la necessità di salvaguardare il loro diritto a un’infanzia sicura. Forse, anziché anticipare l’agonismo, sarebbe opportuno potenziare le attività formative e ludiche legate al motociclismo, privilegiando l’aspetto educativo e posticipando quello competitivo. Inoltre, promuovere una cultura dello sport basata sul rispetto dei tempi di crescita potrebbe contribuire a ridurre quella pressione sociale che spinge molti genitori a proiettare sui figli le proprie ambizioni irrealizzate.
La morte di Sid non può essere solo una triste notizia di cronaca, ma un’occasione per riflettere sulla responsabilità collettiva di proteggere i più piccoli. Lo sport deve essere un’opportunità di crescita, non un acceleratore di esperienze troppo grandi per chi ha ancora tutta la vita davanti.