Trump annuncia il controllo USA su Gaza e la deportazione dei palestinesi: reazioni e implicazioni internazionali
Donald Trump ha annunciato un piano senza precedenti per il futuro della Striscia di Gaza, dichiarando che gli Stati Uniti ne assumeranno il controllo e si occuperanno della sua gestione per un tempo indefinito. Durante un incontro con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente ha illustrato la propria visione per il territorio palestinese, che prevede la distruzione totale della capacità militare e governativa di Hamas, la restituzione degli ostaggi israeliani e la garanzia che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele. Per raggiungere questi obiettivi, gli USA forniranno nuove armi a Tel Aviv, eserciteranno massima pressione sull’Iran e gestiranno le macerie della Striscia per trasformarla in una destinazione turistica internazionale. Il piano prevede inoltre la deportazione dei palestinesi nei paesi arabi vicini, una prospettiva che ha suscitato indignazione e reazioni di sdegno in tutto il mondo. Trump ha dichiarato che diversi paesi arabi sarebbero pronti ad accogliere i palestinesi e che la loro sistemazione potrebbe essere finanziata dagli stati della regione più ricchi, senza però specificare quali. Ha inoltre firmato un ordine esecutivo per eliminare ogni finanziamento all’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, accusandola di finanziare il terrorismo. Netanyahu ha accolto positivamente il piano, definendolo “un’opportunità per cambiare la storia” e ribadendo la volontà di Israele di eliminare definitivamente Hamas. La proposta ha però generato forti reazioni internazionali: la Lega Araba ha respinto con fermezza l’idea di una deportazione forzata, definendola una violazione del diritto internazionale; Egitto e Giordania, indicati da Trump tra i paesi pronti ad accogliere i palestinesi, hanno ribadito che il popolo palestinese ha diritto a rimanere nella propria terra; la Russia e la Cina hanno condannato il piano e sostenuto la soluzione dei due Stati; Hamas e l’Autorità Nazionale Palestinese lo hanno definito un tentativo di cancellare l’identità palestinese. Questo annuncio arriva dopo decenni di conflitto nella regione, che hanno visto il popolo palestinese subire occupazioni, bombardamenti e blocchi economici. Il conflitto tra Israele e Palestina ha radici profonde, che affondano nel colonialismo e nelle divisioni territoriali imposte nel corso del XX secolo. La nascita dello Stato di Israele nel 1948 ha segnato l’inizio di una lunga serie di guerre e tensioni, poiché i palestinesi, già presenti nella regione, hanno visto le loro terre espropriate e la loro sovranità negata. La Guerra dei Sei Giorni del 1967 ha portato all’occupazione israeliana di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est, innescando decenni di resistenza e repressione. Il movimento sionista ha sempre cercato di consolidare il controllo territoriale, mentre i palestinesi hanno rivendicato il diritto all’autodeterminazione. La nascita di Hamas e la sua presa di potere a Gaza nel 2006 hanno intensificato il conflitto, con Israele che ha imposto un blocco economico e militare sulla Striscia, rendendo la vita della popolazione sempre più difficile. Gli scontri si sono acuiti dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, che ha causato centinaia di vittime israeliane e ha scatenato una massiccia offensiva da parte di Tel Aviv. Il bombardamento incessante di Gaza, la distruzione di interi quartieri e l’altissimo numero di vittime civili hanno fatto parlare di crimini di guerra e genocidio. Ora, la proposta di Trump sembra ignorare il diritto internazionale e la volontà del popolo palestinese, imponendo una soluzione che rischia di innescare nuove tensioni e conflitti. Il piano, più che una strategia di pace, appare come un progetto di ingegneria geopolitica che punta a ridisegnare il Medio Oriente senza considerare le radici storiche e le conseguenze di una deportazione di massa. L’idea di trasformare Gaza in una “Riviera del Medio Oriente” suona cinica di fronte alla sofferenza della popolazione locale, e il rischio di una nuova ondata di instabilità appare altissimo. La comunità internazionale dovrà ora decidere come rispondere a una proposta che potrebbe ridefinire gli equilibri della regione, ma che sembra più una dichiarazione unilaterale di potere che una reale soluzione al dramma palestinese.