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Banche e Acquisizioni: Una Corsa al Potere che Penalizza Clienti e Imprese

Negli ultimi mesi, il settore bancario europeo, e italiano particolare, è stato travolto da un’ondata di fusioni e acquisizioni (M&A) che stanno ridisegnando il panorama finanziario. Se da un lato gli istituti di credito parlano di “opportunità strategiche” e “rafforzamento della competitività”, dall’altro emergono criticità preoccupanti: meno concorrenza, meno credito alle imprese e un’attenzione sempre più marginale nei confronti dei clienti.

Il vero obiettivo delle acquisizioni

Le grandi banche giustificano le loro mosse con la necessità di aumentare l’efficienza e garantire stabilità al sistema finanziario. Tuttavia, nella realtà, questi processi sono spesso guidati più dalla volontà di consolidare il potere di pochi player che da un reale beneficio per l’economia. Il caso di UniCredit, che ha recentemente acquisito una partecipazione in Commerzbank, è emblematico: invece di rafforzare il tessuto produttivo italiano, si guarda all’espansione internazionale per garantire profitti agli azionisti.

Nel frattempo, le banche di dimensioni più ridotte rischiano di essere fagocitate, con il risultato di un mercato sempre più oligopolistico. Questo significa meno concorrenza, condizioni peggiori per i correntisti e un minore incentivo a offrire servizi innovativi e accessibili.

Le vittime: imprese e clienti

Uno studio della Banca d’Italia ha rivelato che, dopo un’operazione di M&A, l’erogazione del credito alle imprese diminuisce sensibilmente, con una contrazione media dell’1,8%. Ciò significa che le fusioni, anziché favorire la crescita economica, spesso la ostacolano. Le piccole e medie imprese (PMI), che rappresentano l’ossatura dell’economia italiana, sono le prime a pagarne il prezzo, trovandosi di fronte a criteri di accesso al credito sempre più stringenti.

Anche i clienti retail subiscono gli effetti negativi delle acquisizioni: aumento dei costi dei servizi, chiusura di filiali nei piccoli centri e peggioramento della qualità dell’assistenza. Una ricerca di J.D. Power ha dimostrato che il tasso di abbandono da parte dei correntisti triplica dopo un’acquisizione, segno evidente del malcontento che questi processi generano.

Dov’è la vigilanza?

Di fronte a questo scenario, viene da chiedersi: dove sono le autorità di regolamentazione? Se da un lato la BCE e la Banca d’Italia monitorano la solidità del sistema bancario, dall’altro sembrano ignorare gli effetti di lungo termine che queste acquisizioni hanno sull’economia reale. Il rischio è che si stia permettendo la creazione di colossi finanziari troppo grandi per fallire, con il paradosso che, in caso di crisi, saranno ancora una volta i cittadini a dover pagare il conto.

Conclusione: chi guadagna davvero?

Alla fine, chi trae beneficio da queste operazioni? Non certo i piccoli risparmiatori, non le PMI, né tantomeno l’economia italiana. A guadagnarci sono i grandi gruppi bancari e gli investitori istituzionali, sempre più concentrati sulla redditività a breve termine e sempre meno sulla funzione sociale della banca. Se il sistema finanziario continua su questa strada, il rischio è quello di un futuro in cui il credito diventa un privilegio per pochi, mentre i cittadini e le imprese restano in balia di logiche di profitto sempre più spietate.

Forse è arrivato il momento di smettere di chiamarle “opportunità strategiche” e iniziare a definirle per quello che sono: operazioni speculative che riducono la concorrenza, peggiorano i servizi e mettono a rischio la stabilità economica del Paese.

 

Sergio Angrisano

Direttore Editoriale - giornalista televisivo e scrittore