cronaca

Il Fisco Italiano Contro i Colossi Tech – Stretta sull’IVA o Mossa Nella Guerra dei Dazi?

Napoli, 27 Marzo 2025

Sergio Angrisano

L’Italia ha acceso i riflettori su un nuovo fronte di scontro con i giganti del web, chiedendo a Meta, X e LinkedIn di versare oltre un miliardo di euro di IVA. La contestazione fiscale, che riguarda gli anni 2015-2016 e 2021-2022, potrebbe diventare un precedente a livello europeo e inserirsi nel contesto della guerra commerciale tra USA ed Europa.

L’Agenzia delle Entrate ha notificato a Meta una richiesta di pagamento pari a 887,6 milioni di euro, mentre X (ex Twitter) e LinkedIn dovrebbero versare rispettivamente 12,5 e 140 milioni di euro. Secondo l’accusa, l’apertura di un account su queste piattaforme costituirebbe una transazione tassabile, poiché lo scambio di dati personali verrebbe equiparato a un valore economico soggetto a imposta. I colossi digitali contestano fermamente questa interpretazione. Un portavoce di Meta ha dichiarato: “Prendiamo sul serio i nostri obblighi fiscali e paghiamo tutte le imposte richieste nei Paesi in cui operiamo. Siamo fortemente in disaccordo con l’idea che l’accesso degli utenti alle piattaforme online debba essere soggetto al pagamento dell’IVA.”

Questa richiesta potrebbe non restare un caso isolato. L’IVA è un’imposta armonizzata a livello europeo, e se l’Italia riuscisse a far valere la propria posizione, altri Stati membri potrebbero seguire l’esempio. Francia e Germania, che già da tempo contestano il potere fiscale delle Big Tech, potrebbero sfruttare il precedente per avanzare richieste simili. Il Digital Services Tax (DST), introdotto in alcuni Paesi come Francia e Spagna, ha già cercato di colmare le lacune fiscali lasciate dai colossi digitali. Se l’Europa decidesse di adottare un’interpretazione più restrittiva dell’IVA, il settore tecnologico potrebbe affrontare una nuova era di regolamentazioni fiscali. Le aziende coinvolte potrebbero fare ricorso, portando la questione davanti alla Corte di Giustizia Europea, dove si deciderà se l’interpretazione italiana possa effettivamente costituire un precedente per l’intera Unione.

La mossa italiana oltre ad avere un risvolto fiscale, si inserisce in un contesto di tensioni commerciali tra Europa e Stati Uniti. L’amministrazione Trump, tornata a cavalcare l’ondata protezionista, ha intensificato la politica dei dazi sulle importazioni europee, colpendo settori chiave come il vino, la moda e l’automotive. L’azione del Fisco italiano potrebbe essere interpretata come una contromossa nella guerra dei dazi, mirata a riequilibrare il rapporto di forza con Washington. Senza un intervento di Bruxelles per definire un approccio comune, il rischio è quello di una frammentazione normativa che potrebbe penalizzare tanto le aziende digitali quanto le economie nazionali.

Se i colossi digitali venissero costretti a versare l’IVA, è possibile che trasferiscano il costo sugli utenti attraverso nuovi modelli di abbonamento o limitazioni nei servizi gratuiti. Questo potrebbe radicalmente cambiare il rapporto tra piattaforme e consumatori, trasformando servizi attualmente accessibili senza costi in prodotti a pagamento.

Se l’Italia riuscisse a far valere la propria posizione, non solo si aprirebbe un nuovo capitolo nella regolamentazione fiscale del digitale, ma si potrebbe assistere a una ridefinizione dell’equilibrio economico tra Europa e Stati Uniti. Nel frattempo, i colossi tech si preparano a difendersi in tribunale, consapevoli che l’esito di questa battaglia potrebbe cambiare il modo in cui operano nel Vecchio Continente.

 

 

Sergio Angrisano

Direttore Editoriale - giornalista televisivo e scrittore