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La Doppia Morale di Meta – Pubblicità per gli Insediamenti Illegali e Censura per Chi Denuncia il Genocidio

Annunci che promuovono colonie israeliane e raccolte fondi per l’esercito nella Striscia di Gaza, mentre si oscurano contenuti a sostegno del popolo palestinese. Una strategia globale di censura che colpisce anche l’Italia.

8 Aprile 2025
Sharon Persico

Nel corso dell’ultimo anno, Facebook, piattaforma della multinazionale Meta, ha ospitato oltre cento annunci pubblicitari relativi alla vendita di abitazioni situate in insediamenti israeliani nei territori occupati della Cisgiordania. Secondo un’inchiesta di Al Jazeera, gli annunci, rivolti ad acquirenti israeliani, statunitensi e britannici, sono comparsi a partire da marzo 2024 e molti risultano ancora attivi.

Dichiarazioni e documenti ufficiali
Il diritto internazionale all’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra stabilisce che “la Potenza occupante non potrà deportare o trasferire parte della propria popolazione civile nel territorio da essa occupato.
A questo si aggiunge lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale (CPI), che all’articolo 8, paragrafo 2, lettera b, punto VIII, definisce come crimine di guerra “il trasferimento, diretto o indiretto, da parte della Potenza occupante, di una parte della propria popolazione civile nel territorio da essa occupato“.
Le Nazioni Unite hanno ribadito in numerosi documenti la illegittimità degli insediamenti israeliani. Il Consiglio di Sicurezza, con la risoluzione 2334 del 2016, ha dichiarato che gli insediamenti “non hanno validità legale” e rappresentano una “flagrante violazione del diritto internazionale”.

La complicità economica: banche e agenzie
Tra le agenzie immobiliari protagoniste della campagna pubblicitaria su Facebook vi è Gabai Real Estate, che promuove abitazioni nei controversi insediamenti di Ma’ale Adumim ed Efrat. Altre inserzioni provengono dalla società Ram Aderet, finanziata dalla Prima Banca Internazionale di Israele, inserita dall’ONU nel 2020 nella lista nera delle entità coinvolte nel sostegno economico agli insediamenti.

Meta: censura interna e licenziamenti
Meta, nel frattempo, ha oscurato contenuti pro-Palestina, rimosso testimonianze dei bombardamenti su Gaza e licenziato dipendenti che avevano criticato la gestione della censura. È il caso di Ferras Hamad, ex dipendente di origini palestinesi che ha intentato una causa legale contro Meta, sostenendo di essere stato licenziato per aver condiviso contenuti contrari alla linea dell’algoritmo aziendale.

L’Italia e la censura silenziosa

In Italia, giornalisti, attivisti e semplici utenti hanno denunciato l’oscuramento selettivo dei contenuti legati al genocidio in Palestina. La pagina del collettivo “Voce Palestinese”, con oltre 70 mila follower, è stata bloccata per giorni a causa di “violazioni non specificate”. Lo stesso è accaduto a singoli reporter e fotografi freelance che seguivano la crisi umanitaria a Gaza.
La giornalista italiana Francesca A., che ha seguito il conflitto, racconta:

Ogni volta che pubblicavo immagini o interviste da Gaza, ricevevo limitazioni di visibilità, e i miei post venivano segnalati in massa. Nessuna spiegazione concreta, solo generiche violazioni delle linee guida.

Interrogazioni parlamentari e silenzi istituzionali
Nel marzo 2024, l’eurodeputata irlandese Clare Daly ha denunciato davanti al Parlamento europeo la complicità delle Big Tech nella censura filo-israeliana, chiedendo un’indagine formale sulla neutralità delle piattaforme. In Italia, le istituzioni non si sono ancora pronunciate in maniera ufficiale sulla gestione della censura da parte di Meta, né sul contenuto delle inserzioni legate agli insediamenti.

Il peso delle scelte editoriali delle Big Tech
Meta sembra muoversi al confine tra neutralità apparente e complicità fattiva. L’uso della pubblicità come leva politica e l’occultamento di voci dissonanti, rappresentano un grave pericolo per la libertà d’informazione e per la tenuta democratica del discorso pubblico globale.