Dall’Apollo Sauroktonos a Heidegger – Il Mito Greco nell’Età Digitale
10 Aprile 2025
Sharon Persico
Nel frammento che unisce l’immaginario di Stendhal con l’Apollo sauroktonos e l’analisi di Heidegger sul pensiero di Eraclito, si delinea una tensione profonda tra l’elemento apollineo e quello dionisiaco che attraversa l’intera storia del pensiero occidentale e che oggi riaffiora in una società divisa tra razionalità tecnica e desiderio di trascendenza. Stendhal, nelle sue osservazioni sull’Apollo sauroktonos, riportate da Milad Doueihi in Paradiso Terrestre (p.171), riconosce nella “lucertola divina” un gesto creativo che riporta Dioniso alla prossimità più intima con Apollo: un’unità simbolica che supera la dicotomia e restituisce al mondo moderno l’idea che bellezza ed ebbrezza, ordine e dismisura, possono coesistere nell’atto artistico e nel pensiero critico. Questa riflessione diventa oggi attualissima in un contesto culturale dominato dall’iperrazionalismo, dove l’intuizione artistica e il mito sono spesso relegati ai margini, eppure continuano a offrire chiavi interpretative decisive. Heidegger, nel testo Eraclito (Mursia, p.17), si oppone alla lettura nietzscheana e hegeliana del filosofo di Efeso come figura dionisiaca, rivendicando invece la centralità di Artemide, dea del confine tra vita e morte, tra apparire e dissolversi. Artemide, che possiede sia l’arco che la lira – strumenti di Apollo – rappresenta la duplice natura del pensiero: la lira lancia la freccia che porta la morte. La dea del sorgere è al tempo stesso la dea della morte. Heidegger suggerisce così che Eraclito non va compreso nel paradigma dell’ebbrezza ma in quello della tensione tra luce e oscurità, tra rivelazione e sparizione, lo stesso paradigma che oggi ci costringe a riflettere sull’intelligenza artificiale, sull’ambiente, sull’identità culturale e sul sacro perduto nei codici digitali. Nei suoi Frammenti, Eraclito (B 123 DK) afferma: “La natura ama nascondersi”, un verso che Heidegger riprende come chiave per comprendere l’essere come lotta tra disvelamento e oblio. Allo stesso modo, il verso B 53 DK (“La guerra è madre di tutte le cose”) torna attuale in un tempo in cui i conflitti – bellici, culturali, simbolici – riplasmano il mondo. In Artemide si manifesta la potenza del nascere che è già morire, e del morire che è principio di ogni luce: come la nostra epoca, in cui ogni innovazione porta con sé un rischio, e ogni crisi può diventare soglia. Il suo passo nel bosco è un pensiero che non divide ma congiunge, un simbolo che, se riletto oggi, può restituire senso all’oscillazione costante tra umano e postumano, tra mito e algoritmo, tra il silenzio dei boschi sacri e il rumore delle reti digitali.