Sostiene Pereira: “la lezione che ogni giornalista dovrebbe ricordare”
15 Aprile 2025
di Antonio Russo
“Sostiene Pereira di averlo conosciuto un giorno d’estate.”
È questa la frase che apre il celebre romanzo di Antonio Tabucchi, e che da sola già basta a introdurre il cuore del messaggio: la responsabilità della testimonianza. Pubblicato nel 1994, ambientato nella Lisbona del 1938 sotto la censura del regime salazarista, Sostiene Pereira è molto più di un’opera narrativa. È una riflessione profonda sul ruolo del giornalismo in tempi difficili, un monito morale che continua a parlare, oggi più che mai, a chi esercita il mestiere dell’informazione.
Il protagonista, Pereira, è un uomo solitario e apparentemente marginale. Dirige la pagina culturale di un piccolo giornale, il Lisboa, e si occupa principalmente di necrologi e traduzioni letterarie. Si tiene lontano dalla cronaca politica e dalle tensioni che agitano l’Europa – la guerra civile in Spagna, l’ascesa dei fascismi, la repressione in patria. Ma, sostiene Pereira, arriva sempre un momento in cui anche chi si riteneva neutrale è chiamato a scegliere.
Attraverso il suo progressivo risveglio morale, Tabucchi racconta il passaggio da un giornalismo disimpegnato a un giornalismo che si assume il rischio di dire la verità. È un viaggio intimo, lento e umano, che si fa specchio per ogni giornalista chiamato a confrontarsi con l’etica del proprio ruolo.
Nel corso del romanzo, Pereira incontra Monteiro Rossi, un giovane scrittore idealista, e la sua visione del mondo comincia a cambiare. Quel ragazzo porta con sé articoli scomodi, carichi di denuncia e tensione civile. Pereira, dapprima riluttante, sceglie di pubblicarne alcuni, sfidando la censura. La parola, da esercizio accademico, diventa così gesto politico.
È qui che Tabucchi, con grande lucidità, affida alla letteratura una verità semplice ma fondamentale: anche in tempi oscuri, il giornalismo ha un potere enorme. Può resistere, denunciare, fare luce. Ma deve scegliere di farlo.
“Anch’io forse non sono felice per quello che succede in Portogallo, ammise Pereira. La signora Delgado bevve un sorso di acqua minerale e disse: e allora faccia qualcosa. Qualcosa come?, rispose Pereira. Beh, disse la signora Delgado, lei è un intellettuale, dica quello che sta succedendo in Europa, esprima il suo libero pensiero, insomma faccia qualcosa (…)”. È una delle frasi più importanti dell’intero romanzo riguardante il prendere posizione.
Il romanzo, sebbene ambientato nel passato, parla al nostro presente. In un’epoca in cui le fake news si mescolano ai fatti, in cui l’indipendenza dell’informazione è spesso minacciata da interessi economici e politici, Sostiene Pereira ci ricorda che ogni giornalista ha una responsabilità: non solo informare, ma formare coscienze. Non solo descrivere la realtà, ma difenderla.
Come il protagonista, anche oggi molti giornalisti si trovano a un bivio: restare neutrali o prendere posizione. Tabucchi, attraverso la voce pacata e ostinata di Pereira, ci suggerisce che l’unica neutralità possibile è quella della verità. E sostiene, appunto, che tacere è già una scelta. Una resa.
Sostiene Pereira non offre eroi, né proclami. Racconta una storia ordinaria, e proprio per questo straordinariamente potente. Insegna che la verità ha bisogno di chi la custodisca, e che il giornalismo, quando è fedele a se stesso, può essere una delle forme più alte di resistenza civile.
Sostiene Pereira, dunque, che il mestiere del giornalista non è solo quello di scrivere, ma di scegliere cosa scrivere. E soprattutto, perché. Una lezione che, in tempi di crisi – passati, presenti e futuri – non dovrebbe mai essere dimenticata.