Genitorialità Single e Minori Stranieri – La Consulta Apre Possibilità mentre la Cultura Giuridica Italiana si Divide
Con la sentenza 33/2025 la Corte Costituzionale consente anche ai single di adottare minori stranieri in stato di abbandono. Un’apertura verso l’autodeterminazione che, però, solleva interrogativi etici, giuridici e culturali sull’idea stessa di famiglia e sul diritto dei bambini a crescere in un contesto equilibrato.
17 Aprile 2025
Sergio Angrisano
Con la sentenza n. 33/2025, la Corte Costituzionale apre una nuova stagione nell’ambito del diritto di famiglia e delle adozioni internazionali. Dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 29-bis, comma 1, della legge 184/1983 nella parte in cui esclude i single dall’adozione di minori stranieri residenti all’estero, la Consulta abbraccia una visione più ampia della genitorialità, fondata sul principio di autodeterminazione e sull’interesse superiore del minore.
La decisione poggia su due pilastri costituzionali fondamentali: l’articolo 2, che tutela i diritti inviolabili della persona, e l’articolo 117, in relazione all’articolo 8 della CEDU, che sancisce il rispetto della vita privata e familiare. Secondo i giudici, escludere a priori i single da questa possibilità rappresentava una compressione sproporzionata della libertà individuale e, paradossalmente, anche del diritto del minore a trovare una famiglia.
La Corte precisa che non si tratta di riconoscere un diritto assoluto all’adozione, bensì di eliminare un divieto generalizzato e aprire al caso per caso. Sarà il giudice a valutare la reale idoneità affettiva, educativa e sociale del singolo aspirante genitore.
La portata di questa sentenza va ben oltre il singolo caso giuridico. Si apre una crepa nel concetto tradizionale di “ambiente familiare stabile e armonioso”, che ha sempre posto al centro l’unione tra due persone, con o senza vincolo matrimoniale. La famiglia, intesa come cellula sociale basata su un patto di stabilità tra due adulti, viene qui relativizzata in nome di un’idea più fluida e individualistica della genitorialità.
Ed è proprio qui che inizia il cortocircuito etico e culturale.
Perché, se l’aspirazione personale può fondare una potenziale adozione internazionale, perché non estendere lo stesso principio alla procreazione medicalmente assistita per i single? O addirittura all’utero in affitto? Se l’unica bussola è la “legittima aspirazione alla genitorialità”, quali sono i confini da rispettare? E chi li stabilisce?
Il rischio, non solo teorico, è di scivolare verso una forma di “mercificazione della genitorialità”, in cui i minori non sono più soggetti da tutelare, ma oggetti di desiderio e di diritto. Il linguaggio della Corte è attento, sobrio, costituzionalmente orientato. Ma i riflessi concreti potrebbero disegnare scenari inquietanti, soprattutto in un contesto mondiale dove i traffici di bambini, le adozioni facili e le pratiche surrogate sono fenomeni già ben radicati.
L’apertura alle persone single accende un’altra contraddizione: la negazione della genitorialità alle coppie omosessuali, ancora oggi escluse da percorsi di adozione piena, appare anacronistica e incoerente. Se l’inclinazione sessuale non è un criterio rilevante per valutare l’idoneità genitoriale del single, perché dovrebbe esserlo per una coppia dello stesso sesso?
Il dado è tratto, e la sentenza 33/2025 si inserisce in un cambiamento che non è solo giuridico ma profondamente culturale. La domanda, oggi, non è più solo chi possa adottare, ma quale idea di famiglia vogliamo difendere. E soprattutto, quale futuro vogliamo costruire per quei bambini che, più di tutti, hanno bisogno di equilibrio, amore e stabilità.
“Non stiamo parlando di adozioni facili, né di ‘mercato dei figli’ come qualcuno ha scritto. Parliamo di restituire a ogni bambino il diritto a crescere in una famiglia. Il minore abbandonato all’estero, nella maggior parte dei casi, non ha alternative. Escludere a priori una persona single significa perdere una possibilità di affido potenzialmente salvifica. Il vaglio dei tribunali resta rigoroso. La Consulta ha solo rimosso un pregiudizio ideologico”- così si è espressa l’Avv. Maria Giovanna Ruo, presidente di CamMiNo in una sua dichiarazione.
Viviamo in un tempo in cui le forme familiari sono molteplici, e l’amore non sempre passa dal matrimonio. C’è chi cresce figli da solo per scelta, per destino, o per resilienza. Oggi la Consulta ci ricorda che il diritto alla genitorialità non è proprietà esclusiva di chi è in coppia. È tempo che anche lo Stato si apra alla pluralità delle storie umane, tutelando prima di tutto chi non ha voce: i bambini soli. (Prof. Massimo Villone)