È morto Papa Francesco: il Pontefice dei “processi”, della pace e dei poveri
Antonio Russo
Città del Vaticano — Lunedì dell’Angelo, 21 aprile 2025. Alle ore 7:35, Papa Francesco è tornato alla Casa del Padre. A darne l’annuncio ufficiale è stato il cardinale Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, con parole cariche di commozione: «Con profondo dolore devo annunciare la morte di nostro Santo Padre Francesco […]. La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua Chiesa».
Le cause del decesso — ictus cerebrale, coma e collasso cardiocircolatorio irreversibile — sono state rese note dal direttore della Direzione di Sanità e Igiene vaticana, prof. Arcangeli. Da mercoledì la salma del Pontefice sarà esposta nella Basilica di San Pietro per l’ultimo saluto del popolo che tanto ha amato.
Papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, era nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936. Primo gesuita, primo latinoamericano, primo Papa a scegliere il nome di Francesco, primo a vivere fuori dal Palazzo Apostolico e ad essere eletto mentre il predecessore era ancora in vita, ha segnato la storia della Chiesa con un pontificato che ha scardinato consuetudini e aperto processi destinati a durare ben oltre la sua morte.
Un Papa “dalla fine del mondo”
«Incominciamo questo cammino, vescovo e popolo», furono le prime parole pronunciate il 13 marzo 2013 dalla Loggia delle Benedizioni, dando inizio a un pontificato rivoluzionario, non per ideologia ma per vicinanza, semplicità, coraggio. Quel Papa “venuto dalla fine del mondo” si mostrò fin da subito diverso: rinunciò ai simboli del potere, optò per la residenza a Casa Santa Marta, cercò sempre la strada del dialogo, della pace, dell’incontro.
Un pontificato di primati e sfide
Francesc è stato il primo Papa a visitare luoghi mai toccati da un Pontefice, come l’Iraq, il Sud Sudan, Timor-Leste. Ha aperto la Porta Santa in Africa, nella Bangui martoriata dalla guerra. Ha parlato ai migranti a Lampedusa e ai rifugiati nei campi di Lesbo. Ha incontrato l’Islam nel cuore del mondo arabo, firmando con l’imam di Al-Azhar ad Abu Dhabi il Documento sulla Fratellanza Umana. E ha portato la Chiesa nei “luoghi feriti”, spesso rischiando in prima persona.
Nel testamento, ha chiesto una sepoltura semplice nella Basilica di Santa Maria Maggiore, tra la Cappella della Salus Populi Romani e la Cappella Sforza. Un messaggio coerente con tutta la sua vita: «Il sepolcro deve essere nella terra; semplice, senza particolare decoro, con l’unica iscrizione: Franciscus».
Riformatore silenzioso e instancabile
La sua azione riformatrice è stata profonda. Ha varato la nuova Costituzione apostolica Praedicate evangelium, riformato la Curia, aperto ruoli di governo a laici e donne, lottato contro gli abusi con norme stringenti (Vos estis lux mundi), riorganizzato le finanze vaticane, istituito il Consiglio di cardinali per affiancarlo nel governo universale.
Ha promosso una “Chiesa in uscita”, vicina ai poveri, accogliente verso tutti, inclusi divorziati risposati e persone LGBTQ+, chiedendo di abbattere muri e costruire ponti.
Una voce per la pace in un mondo diviso
In un mondo segnato da conflitti “a pezzi”, ha lanciato oltre 300 appelli per la pace. Ha parlato con ambasciatori, leader mondiali, e talvolta con i popoli stessi, come nelle videochiamate quotidiane alla parrocchia di Gaza. Indimenticabile il gesto del 2014, quando baciò i piedi ai leader del Sud Sudan, implorando la fine della guerra. Ha consacrato Russia e Ucraina al Cuore di Maria, ammonito i mercanti d’armi, chiesto un fondo globale per combattere la fame.
La Statio Orbis, simbolo di un’umanità fragile
La sua figura rimarrà impressa soprattutto nell’immagine del 27 marzo 2020: da solo, sotto la pioggia, in una piazza San Pietro vuota per la pandemia. La Statio Orbis, con l’umanità sospesa nel silenzio e nella paura, divenne il simbolo di un pontificato che ha voluto portare speranza nei momenti più bui. «Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca», disse allora, «tutti fragili e disorientati, ma chiamati a remare insieme».
Le parole del mondo
Il cordoglio è unanime. La premier Giorgia Meloni ha affidato a Facebook un messaggio carico di gratitudine: «Ci lascia un grande uomo e un grande pastore. Cammineremo nella direzione da lui indicata, per costruire una società più giusta e più equa. Il suo magistero e la sua eredità non andranno perduti».
E mentre il mondo si prepara a salutare il Papa dei poveri, dei migranti, della pace, la Chiesa si stringe nel ricordo di un pastore che ha amato senza misura. Un uomo che ha fatto della semplicità la sua forza, della misericordia il suo annuncio, della speranza la sua eredità.
Franciscus. Così volle fosse scritto. E così sarà ricordato.