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Dare forma alla leggenda: il racconto inedito dello scultore Dario Caruso dietro il Pino Daniele eterno

Dalla musica alla scultura: il tributo di un artista a un’icona senza tempo

Antonio Russo

NAPOLI. Con taccuino in tasca e registratore alla mano, mi infilo tra le pieghe della città, dove le storie aspettano solo di essere raccontate. Oggi non è un giorno qualsiasi, sto per rincontrare un personaggio che promette rivelazioni, emozioni e forse anche qualche sorpresa. Le domande sono pronte, ma le risposte? Quelle potrebbero cambiare tutto.

Eccomi in Fonderia Del Giudice. Lì, un cantiere tra idee e materia, dove incontro Dario Caruso, noto scultore delle celeberrime statue di Diego Armando Maradona. Due, sì, esatto. Una realizzata in movimento per commissione di Stefano Ceci all’ omonimo Stadio di Napoli negli spogliatoi; l’altra, invece, ad Acerra, provincia di Napoli, in posizione fissa che ricorda la partita del fango, un match di beneficenza per un bambino.

La bottega di Caruso è una fucina di anime scolpite, dove l’artista, come un moderno Prometeo, libera dalla materia il fuoco della sua ispirazione, creando figure che parlano più di mille parole. L’artista mi accoglie con gentilezza. È affabile. Molto propenso al dialogo. Inizia a raccontarmi gli aneddoti che hanno portato alla luce la statua di Pino Daniele. L’incontro di Alessandro Daniele nel 2018, grazie a un post di Instagram dedicato a suo padre. I miracoli dei social network. Arriva a raccontarmi che l’anno scorso, 2024, gli è stata commissionata la statua di Pino per la mostra intitolata “Pino Daniele.SPIRITUAL” in corso al Palazzo Reale di Napoli.

Per noi napoletani Pino Daniele non è stato solo un cantautore, ma una voce che ha saputo raccontare Napoli senza maschere, con le sue ferite, la sua ironia, la sua profonda spiritualità urbana. La sua musica nasceva da una radice partenopea e si allargava al mondo, mescolando blues, jazz, soul e tradizione napoletana come solo un poeta di strada e d’anima poteva fare.

Era ruvido e dolce, come certi vicoli che si aprono all’improvviso su panorami mozzafiato. Parlava d’amore, di rabbia, di identità. Cantava in dialetto, ma la sua arte era globale nel sentire e pura nell’intenzione emozionale.

La sua chitarra, la Paradise, era una seconda voce. Il suo timbro graffiato era un abbraccio a metà tra la carezza e il grido. In ogni nota c’era un pezzo di verità, in ogni pausa un mondo di sentimenti. Pino ha attraversato le generazioni senza mai smettere di parlare con il cuore di chi lo ascolta.

Oggi, vederlo fissato nella resina bronzata è come ritrovare un amico di sempre, che non ha mai smesso di esserci. Un’icona sì, ma un’icona umana, fragile e potente che in silenzio, continua a cantare come solo lui sapeva fare.

Dare forma alla leggenda unendo l’inedita visione artistica dello scultore Dario Caruso all’ eterno mito Pino Daniele ” è stata una missione ben riuscita.

Qual è stato il processo creativo dietro la realizzazione della statua?

La statua è stata realizzata a partire da uno scheletro metallico sagomato, ricoperto di argilla: una struttura portante sulla quale è stata modellata l’opera. Si è quindi proceduto alla creazione dello stampo, realizzato in gomma siliconica e vetroresina acrilica. Una volta completato lo stampo, è stato aperto ed estratta la scultura in argilla dal suo interno. L’unica parte salvata dopo l’apertura dello stampo è stata il busto.

Il modello finale, in vetroresina, è stato dipinto per simulare l’effetto del bronzo. L’opera è infatti in resina bronzata, materiale scelto per garantirne la leggerezza e la resistenza ai frequenti spostamenti.

Attualmente è in mostra presso il Palazzo Reale di Napoli.”

 

 

Quali direttive le ha dato Alessandro Daniele per la realizzazione dell’opera?

Alessandro (figlio di Pino Daniele, n.d.r.) mi chiese semplicemente di rappresentare la figura di suo padre, Pino Daniele. Ho seguito le sue indicazioni in base alle foto che mi consegnò. Volevo rappresentare una figura iconica. Pino Daniele ha attraversato trasversalmente quarant’anni di musica. Un “mascalzone latino”, come si definiva lui stesso. È stato riconosciuto come artista a livello internazionale, ma nell’immaginario collettivo, soprattutto per chi lo seguiva fin dai suoi esordi, si voleva rendere omaggio a un Pino giovane, quello che tutti conoscono. Il periodo in cui è nato artisticamente, per così dire.

Si decise di prendere spunto da alcune fotografie scattate durante uno shooting per uno dei suoi album. È stata utilizzata la stessa panchina su cui Pino aveva posato per quelle foto, poi diventata un simbolo. Su di essa si sono seduti alcuni dei più grandi artisti e musicisti del mondo con cui Pino ha collaborato. Era un vero e proprio “rito” fare le foto seduti lì.

Presi quella panchina a casa di Dorina Giangrande, la prima moglie di Pino, la pulii e realizzai sopra la scultura di Pino. La ridipinsi affinché facesse parte integrante della scultura stessa. L’opera è composta dalla scultura e dalla panchina costituendo un’opera unica.

 

Come ha scelto la posa e l’espressione del volto di Pino Daniele nella scultura?

Ho voluto restituire la felicità di Pino Daniele mentre cantava; per questo l’ho rappresentato sorridente. Le sculture in bronzo, di solito, hanno un aspetto molto serioso e “istituzionale”. Lui, invece, è seduto su una panchina, scalzo, con un abito casual. Imbraccia la sua chitarra, la Paradise, simbolo del suono inconfondibile della sua musica”.

 

Ci sono aspetti particolari della personalità di Pino Daniele che voleva trasmettere attraverso la scultura?

Sì, la chitarra. Per restituirne la massima fedeltà, ho deciso di procedere con una scansione digitale dello strumento. Ho portato con me uno scanner e insieme ad Anthony, un tecnico della Fonderia Del Giudice, abbiamo realizzato l’operazione. Tutto questo per ottenere un modello estremamente preciso della chitarra di Pino Daniele. Si può dire che è quasi una ricostruzione storica“.

 

Quanto tempo ha impiegato per completare l’opera?

Ho impiegato un paio di mesi. È stato un lavoro che mi ha coinvolto profondamente, perché la musica di Pino Daniele è stata la colonna sonora della mia adolescenza. Sentivo addosso tutta la responsabilità di questo progetto. La sfida più grande è stata verso me stesso: volevo essere sicuro di aver fatto un buon lavoro, indipendentemente da ciò che avrebbero detto gli altri. Desideravo essere felice di ciò che avevo creato con le mie mani. Volevo realizzare un ritratto il più somigliante possibile a Pino Daniele. Almeno spero di esserci riuscito (ride)”.

 

Che significato ha per lei come artista essere scelto per realizzare una statua in onore di un personaggio così iconico?

È stato, insieme alla statua di Maradona, un vero sogno per chi fa il mio mestiere. Questa è una passione che mi accompagna fin da bambino e che ancora oggi mi guida. Realizzare un’opera dedicata a Pino Daniele è stato il mio modo per rendergli omaggio. Ha per me un valore inestimabile, che va ben oltre qualsiasi compenso o riconoscimento ufficiale. Sono davvero felice che la famiglia di Pino mi abbia scelto per la realizzazione di quest’opera così speciale.”

 

Cosa spera che le persone provino quando guardano la statua di Pino Daniele?

Quando concludi un’opera, non ti appartiene più. Diventa un regalo ai fan. Spero che possa trasmettere agli altri le stesse emozioni che ho provato io nel realizzarla. Solo questo, nient’altro.

 

Un’ultima domanda prima di lasciarci: qual è stata la reazione di Alessandro Daniele quando è stata svelata la statua?

All’inizio della creazione dell’opera, resi partecipe Alessandro (mio referente) mandandogli continuamente fotografie e video, e così passo dopo passo che questo involucro inanimato prendeva forma. C’erano grandi aspettative da parte di tutta la famiglia. Nel corso del processo di realizzazione della scultura i familiari non riuscivano a cogliere alcune somiglianze con Pino, pertanto, gli proposi di recarsi in Fonderia. Le foto e i video non riuscivano a trasmettere il vero impatto dell’opera. Toccarla, guardarla, era l’unico modo per creare la necessaria alchimia. Alessandro accettò l’invito, riuscendo ad organizzarsi tra i suoi mille impegni.  Trascorremmo assieme un’ intera mattinata. Guardammo foto, album di famiglia, cercammo anche tra le immagini inedite per cogliere meglio aspetti peculiari della fisicità di Pino. Aggiustammo qualche dettaglio e alla fine, andò  via contentissimo. Fu così che “chiudemmo” definitivamente la statua.”

 

 

 

 

 

 

 

Sergio Angrisano

Direttore Editoriale - giornalista televisivo e scrittore