Il Tempo e l’Infinito nell’Attimo – Viaggio nelle Profondità Invisibili dell’Esistenza
Denso, mutevole, ciclico o sospeso: il tempo si rivela non solo come misura, ma come dimensione dell’anima. Un’indagine tra scienza, spirito, arte e coscienza.
2 Maggio 2025
Sharon Persico
«Il tempo ha spessori più grandi e più piccoli come la materia. Profondità e abissi come il mare. Ci sono secondi ai margini dell’eternità che controbilanciano secoli. Là può ancora accadere l’infinito.»
Così scrive Ernst Jünger in Mantrana, tracciando una visione del tempo come sostanza viva, duttile, immersiva. Il tempo, in questa chiave, non è un contenitore neutro che si misura, ma un’esperienza che si attraversa. I secondi si dilatano o si accorciano, diventano lame o abbracci, si fanno soglia, materia interiore, rivelazione.
La fisica moderna, dal canto suo, ha infranto da tempo l’illusione della linearità temporale. Einstein ci ha mostrato che il tempo è relativo, che si curva, si piega, rallenta o accelera in funzione della velocità o della gravità. Carlo Rovelli, fisico teorico, nel suo libro L’ordine del tempo scrive:
«Non c’è un presente universale. Ogni punto dell’universo ha il suo tempo. Il tempo è un’increspatura in un campo quantistico».
Ma il tempo fluttua anche dentro di noi, e le tradizioni spirituali hanno sempre parlato di un tempo interiore, sacro, esperibile nel silenzio e nella contemplazione. I greci distinguevano il chronos, tempo cronologico, dal kairos, tempo dell’opportunità, del risveglio, dell’evento trasformativo. Il kairos è l’attimo giusto, quello in cui accade l’imprevedibile, in cui l’eterno irrompe nel quotidiano.
Nella meditazione profonda, il tempo si dissolve o si fa presenza pura. Il buddhismo parla di maya, l’illusorietà del tempo, e invita a ritornare al “qui e ora” come unica vera realtà. Il mistico cristiano Meister Eckhart scriveva:
«Il tempo è ciò che impedisce alla luce di raggiungerci. Non esiste tempo, solo l’eternità ora».
Anche il sogno sfida la cronologia: il tempo onirico è frammentato, capovolto, simultaneo. Freud sottolineava come l’inconscio non conosca la successione temporale. Lacan sosteneva che la struttura del sogno disvela un tempo simbolico, mentre Jung ne faceva il regno degli archetipi atemporali. Quando sogniamo, viaggiamo in una zona liminale, fuori dalla misura, dove il passato e il futuro si confondono, e dove l’attimo può contenere intere vite. Le filosofie orientali hanno colto da sempre questa complessità. Nell’induismo, il tempo è ciclico: kalachakra, la ruota del tempo, in cui il mondo nasce, si dissolve e rinasce. Ogni istante è parte di un ciclo cosmico. Il buddhismo zen invita a trovare l’eternità nell’azione quotidiana, nel respiro, nel gesto.
«Quando lavi una ciotola, lavala come se fosse l’universo intero», dice un antico precetto.
Anche la psicologia osserva come la percezione del tempo muti radicalmente con l’età. Nell’infanzia, un’ora può sembrare infinita: tutto è nuovo, intenso, carico di significati. Con l’avanzare degli anni, la ripetizione, le abitudini, la velocità imposta dalla società fanno apparire il tempo più breve. La mente registra meno stimoli, e così la memoria sembra correre. Nella vecchiaia, talvolta, il tempo si espande di nuovo, e si colora di lentezza e nostalgia. Marcel Proust, con la sua “memoria involontaria”, ha narrato come un sapore, un odore, un gesto possano restituire il tempo perduto. Borges ha immaginato luoghi dove tutti i tempi coesistono, come nell’Aleph:
«Vidi l’universo e vidi l’Aleph, che contiene tutti i tempi nello stesso punto dello spazio».
L’arte sfida continuamente il tempo: Dalí, con i suoi orologi liquefatti, Tarkovskij con i suoi film sospesi, la musica con le sue durate simboliche. Il trauma, infine, può frantumare il tempo soggettivo. Il cervello traumatizzato congela l’esperienza, la frammenta, la ripete. Secondo Bessel van der Kolk, autore de Il corpo accusa il colpo,
«nei traumi il tempo resta intrappolato. L’evento non si colloca nel passato, continua a colpire il presente».
La psiche si aggancia all’istante della ferita, che si ripresenta ciclicamente finché non viene integrato.
A livello collettivo, il tempo è oggi sempre più strumentalizzato. Viviamo immersi in una cultura della produttività, del tempo monetizzato, misurato in termini di efficienza. Il filosofo Byung-Chul Han parla di “società della stanchezza”, dove l’individuo è costantemente spinto a ottimizzare il proprio tempo, fino a esaurirlo. Anche il tempo libero viene organizzato, venduto, frammentato. In questo contesto, la lentezza diventa un gesto radicale, un atto di resistenza. Il recupero dell’attimo, dell’inutilità apparente, diventa possibilità di verità. Non tutto il tempo è uguale. Esistono attimi che si aprono come varchi, soglie in cui la coscienza si espande. In quegli istanti — tra un respiro e l’altro, in un tramonto, in uno sguardo, in una preghiera — l’infinito può ancora accadere. È in questi margini invisibili che il tempo si fa spazio dell’anima, dove ciò che è stato e ciò che sarà si uniscono in ciò che semplicemente è.
Rilke scriveva:
«L’eternità non è mai più lunga di un attimo».
L’attimo presente, vissuto fino in fondo, è il luogo dove il tempo e l’eternità si toccano. Il tempo non è ciò che scorre, ma ciò che accade quando siamo presenti.