Robert Francis Prevost è Papa Leone XIV – Il primo pontefice americano nella storia della Chiesa. Riforma, Spiritualità e Geopolitica
Il gesuita americano John Raphael Prevost è il nuovo Pontefice. Dalla scelta del nome al primo discorso, passando per le sfide globali, la reazione della Curia e il significato profondo del suo pontificato.
8 Maggio 2025
Esmeralda Mameli
Città del Vaticano – Lunedì 6 maggio 2025 il mondo ha assistito all’annuncio del nuovo Papa: il gesuita statunitense John Raphael Prevost è salito al soglio pontificio con il nome di Leone XIV. Una scelta rapida e secondo molti osservatori, sorprendente. Ma non improvvisata. Dietro l’elezione, infatti, si cela un disegno preciso, che unisce il desiderio di continuità con il pontificato di Francesco e la necessità di imprimere un nuovo impulso riformatore alla Chiesa del terzo millennio.
Un Conclave veloce, una scelta condivisa
Il Conclave si è concluso in meno di 48 ore. Un dato che non lascia dubbi sul clima di coesione interna al Collegio cardinalizio. Diverse fonti riportano che Prevost fosse tra i candidati favoriti già alla vigilia, in virtù della sua lunga esperienza pastorale in America Latina e in Asia e del suo profilo spirituale sobrio, capace di parlare ai margini del mondo cattolico. Una figura percepita come “ponte” tra il Nord e il Sud, tra le istanze riformatrici e la dottrina.
Secondo fonti vaticane, il suo nome ha ottenuto consenso trasversale, anche grazie alla stima maturata nei Dicasteri dove aveva operato negli ultimi anni. Si è rivelato il candidato in grado di unire sensibilità diverse in un momento in cui la Chiesa è chiamata ad affrontare sfide epocali.
Dal gesuitismo globale all’eredità di Francesco
Come Jorge Mario Bergoglio, anche Prevost è gesuita, ma a differenza del predecessore, è nato in Nord America: statunitense del New Jersey, ha scelto tuttavia di vivere a lungo in America Latina, assorbendone la cultura, le ferite, la spiritualità popolare. Un Papa che viene “dal Sud del mondo”, anche se con passaporto USA. Questo binomio paradossale lo rende ancora più interessante: espressione della globalizzazione del cattolicesimo e della tensione missionaria di una Chiesa che cerca, sempre più, di ascoltare i poveri, i popoli dimenticati, i migranti.
Leone XIV rappresenta una chiara continuità con Francesco. Ne raccoglie l’eredità sul piano del dialogo interreligioso, della “Chiesa in uscita”, dell’attenzione alle periferie, ma promette anche di introdurre un linguaggio nuovo, meno legato alla politica interna vaticana e più attento ai nodi teologici e spirituali del tempo presente.
Il significato del nome: Leone
Il nome scelto – Leone – non è privo di significati simbolici. Evoca il grande Leone Magno (V secolo), strenuo difensore dell’unità della Chiesa e della dottrina in epoca di crisi. E richiama Leone XIII (1878-1903), considerato uno dei Papi più moderni della storia: autore dell’enciclica “Rerum Novarum”, che aprì la dottrina sociale della Chiesa al mondo del lavoro e alla questione sociale.
Nel suo primo discorso dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro, Leone XIV ha pronunciato parole cariche di consapevolezza storica: “La Chiesa ha un cuore universale. È tempo di ascoltare di più, parlare di meno, e camminare insieme. Leone è il nome della forza mite, del pastore che difende e custodisce, non che domina.”
Le prime sfide: guerra, clima, fede
Il nuovo Papa si trova a guidare la Chiesa in un tempo segnato da crisi multiple. Il conflitto tra Russia e Ucraina, le tensioni in Medio Oriente, il moltiplicarsi delle guerre dimenticate nel Sud del mondo. Poi l’emergenza climatica, con i suoi effetti devastanti soprattutto nei Paesi poveri. E infine, la crisi della fede nei Paesi occidentali, dove il numero di credenti cala drasticamente e la secolarizzazione avanza. Leone XIV ha già annunciato l’intenzione di convocare un Sinodo straordinario nel 2026, dedicato al “futuro della fede nelle metropoli globali”. Un chiaro segnale che intende ascoltare le nuove generazioni, i popoli indigeni, le minoranze religiose. Ma anche che vuole affrontare con serietà le ragioni del crescente allontanamento dalla Chiesa.
Riforme in vista: Curia, nomine, decentramento
Le prime nomine saranno un banco di prova. Si parla di un possibile riassetto dei Dicasteri e di una maggiore collegialità nelle decisioni. Leone XIV sembra intenzionato a valorizzare vescovi africani, asiatici e latinoamericani, per rafforzare la vocazione universale della Chiesa.
È probabile che rilanci l’intuizione sinodale di Francesco, ma con un’impronta più organizzativa: meno assemblee, più atti concreti. Alcuni parlano di una riforma della Segreteria di Stato, per dare maggiore trasparenza e incisività all’azione diplomatica vaticana.
Un Papa “globale” nei rapporti con le potenze mondiali
La geopolitica sarà uno dei banchi di prova del pontificato. Americano di nascita, ma critico verso il modello imperialista statunitense, Leone XIV potrebbe segnare un cambio di tono nei rapporti con Washington. Più dialogo, ma anche più autonomia. I rapporti con la Cina, invece, saranno delicati: già in passato Prevost ha denunciato le persecuzioni religiose in Asia, ma ha anche costruito ponti attraverso il dialogo con le comunità cattoliche locali.
Nel Sud del mondo, è visto come un alleato: Africa, America Latina e Asia attendono un Papa che non solo visiti, ma comprenda davvero le loro istanze.
Le reazioni: silenzio rispettoso e parole di speranza
Dalla Curia romana, silenzio misurato, ma collaborativo. Molti cardinali che avevano manifestato dubbi sulle aperture dottrinali di Francesco sembrano aver accolto la scelta con fiducia, riconoscendo in Leone XIV una figura di mediazione spirituale più che politica. È stato visto come un Papa capace di ridare centralità alla preghiera, all’Eucaristia, alla dimensione mistica, senza dimenticare le sfide sociali.
Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. Il Segretario Generale dell’ONU ha augurato “un pontificato di pace e dialogo”, mentre i leader delle Chiese ortodosse e protestanti hanno parlato di “un’opportunità storica di comunione ecumenica”.
Anche rappresentanti musulmani e buddhisti hanno espresso parole di rispetto.
Lo stesso Presidente degli Stati Uniti ha dichiarato: “Un nostro connazionale diventa guida spirituale del mondo. Ma sarà soprattutto il Papa degli ultimi”.
Una spiritualità che guarda in basso e pensa in alto
Nel suo primo Angelus, Leone XIV ha citato Sant’Ignazio e San Francesco. Ha parlato di “una Chiesa povera, ma non fragile”, e ha invitato i fedeli a “non avere paura della verità, neanche quando ci spoglia”. Ha chiesto di “riscoprire il silenzio, la contemplazione, la bellezza del Vangelo nelle piccole cose”.
La sua spiritualità è quella del gesuita contemplativo, che sa agire nel mondo, ma non dimentica il cielo. Un Papa che cammina, ascolta e riflette. Forse è proprio questo il segno dei tempi.
Un tempo nuovo per la Chiesa
Il pontificato di Leone XIV si apre con speranza e interrogativi. Sarà il Papa della sintesi tra tradizione e innovazione? Riuscirà a tenere insieme le diverse anime della Chiesa, in un’epoca di polarizzazioni? E soprattutto: riuscirà a parlare davvero al mondo, non solo ai cattolici?
Molte sono le aspettative. Il suo sorriso discreto e le sue prime parole sembrano dire una cosa semplice: la Chiesa, oggi più che mai, ha bisogno di una guida che cammini accanto agli uomini.