Il Diavolo di Mergellina: una storia di seduzione, magia e redenzione dipinta nel cuore di Napoli
14 Maggio 2025
Antonio Russo
C’è un posto, a Napoli, dove la leggenda cammina fianco a fianco con la storia, dove il profumo del mare si mescola a quello dell’incenso, e dove un dipinto del Cinquecento racconta molto più di quanto sembri. È la chiesa di Santa Maria del Parto, a Mergellina. Una piccola meraviglia affacciata sul golfo, costruita grazie alla volontà del poeta Jacopo Sannazaro, e che oggi vive un po’ in penombra, proprio sopra il celebre ristorante “Ciro”. Un contrasto che, in fondo, è il ritratto perfetto di Napoli: sacro e profano che si tengono per mano.
Entrando, basta uno sguardo all’altare di destra per restare incantati. C’è San Michele Arcangelo, ritratto mentre sconfigge il Diavolo. Ma quel diavolo non è una figura qualsiasi. Ha il corpo bizzarro, metà sirena e metà rettile, ma soprattutto ha un volto di donna, bello da togliere il fiato. Un’opera intensa, inquieta, quasi ipnotica. A firmarla è Leonardo da Pistoia, pittore toscano del Rinascimento che, almeno a Napoli, è ricordato soprattutto per questo capolavoro. Ma dietro il quadro si nasconde una storia vera – o quasi – fatta di amore ossessivo, magia popolare e redenzione.
La leggenda che affonda le radici nella realtà
Tutto ruota attorno a due nomi reali: Diomede Carafa, vescovo colto e rispettato, e Vittoria D’Avalos, nobildonna bella, intelligente e per nulla incline alla vita da convento. Vittoria, da giovanissima, aveva fatto un’esperienza da novizia, ma non era certo destinata alla clausura. Quando incontrò Diomede se ne invaghì – o forse fu qualcosa di più oscuro. Decise che quell’uomo, apparentemente irraggiungibile, doveva diventare suo.
Come fare? A Napoli, si sa, la linea tra religione e superstizione è sempre stata sottile. Vittoria si rivolse a una “fattucchiera”, una di quelle donne che conoscono le erbe, i riti, le parole giuste da sussurrare. Chiese una fattura d’amore.
La fattura, tra verità popolare e mistero
Cos’è, esattamente, una fattura? Niente a che vedere con il malocchio. La fattura è un’azione voluta, un piccolo sortilegio con una meta precisa: far nascere un sentimento, un’ossessione, in chi ne è oggetto. In questo caso, amore. Gli ingredienti? Semplici e inquietanti: un frammento di tessuto impregnato dell’odore dell’uomo amato, una ciocca dei suoi capelli e – soprattutto – il sangue mestruale della donna. Il tutto mescolato in un cibo, da offrire alla “vittima” senza che se ne accorga.
Il dolce stregato
Così, un giorno, Vittoria si presentò dal vescovo con un vassoio di zeppole. “Per i poveri”, disse. Un gesto di carità, nulla di più. Diomede accettò il dono e ne mangiò. E da quel momento, qualcosa in lui cambiò. Iniziò a pensare a lei continuamente, a desiderarla, a perderci il sonno. Quella che sembrava una passione improvvisa aveva tutte le caratteristiche di un incantesimo.
L’esorcismo pittorico
Quando la situazione divenne insostenibile, Diomede cercò aiuto. Si rivolse a un monaco di Procida, esperto in esorcismi e magie bianche. Fu lui a proporre una soluzione insolita: trasformare il tormento in immagine. Doveva commissionare un’opera sacra, un dipinto che raffigurasse San Michele nell’atto di sconfiggere il male. Ma il Diavolo, questa volta, doveva avere il volto della donna che lo stava consumando. Guardarla, ogni giorno, nei panni della tentazione sconfitta, sarebbe stata la sua cura.
Leonardo da Pistoia accettò l’incarico. Ne uscì un’opera potente, ambigua. Il volto della donna – forse davvero quello di Vittoria – è incantevole, mentre il corpo è grottesco, bestiale. San Michele lo trafigge con la spada, e in basso una scritta celebra la “vittoria”: non solo quella dell’arcangelo, ma anche quella del vescovo sulla propria ossessione.
Il detto che resta
Il popolo napoletano, si sa, ha la memoria lunga. L’opera divenne nota come Il Diavolo di Mergellina, e generò anche un detto, usato ancora oggi in certi vicoli della città: “Si bella e ‘nfama comm’ ’o riavule ’e Mergellina.” Una frase che dice tutto: un misto di ammirazione e paura, di desiderio e condanna. Una donna troppo bella per non essere pericolosa.
Copie, echi e ombre
Col tempo, l’opera originale scomparve per un periodo, ma non la sua eco. Copie quasi identiche apparvero in chiese di provincia: a Castiglione del Genovesi, a Folloni, in Irpinia. Come se questa storia non volesse farsi dimenticare. Famiglie nobili, artisti, fedeli: tutti sembravano riconoscersi in quella vicenda che mescola sacro e profano con disarmante naturalezza.
Napoli, dove l’arte è magia
La storia del Diavolo di Mergellina non è solo un episodio curioso. È un frammento di Napoli autentica, quella che sa trasformare ogni dolore in bellezza, ogni superstizione in rito, ogni volto in leggenda. Ancora oggi, entrando in quella piccola chiesa, tra l’odore di fritto che arriva dalla strada e l’eco di un’Ave Maria lontana, sembra di sentirla sussurrare, quella storia. Una storia che parla di amore proibito, di magia antica, e di un diavolo che – forse – non è mai stato davvero sconfitto.