Il Dolore come Connessione degli Opposti – Dalla Frattura alla Rinascita
Nel dolore si intrecciano amore e guerra, fragilità e forza, assenza e rinascita. Un’indagine filosofica, psicologica e spirituale che attraversa infanzia, creatività e guarigione.
22 Maggio 2025
Sharon Persico
“Il dolore spezza, è lo spezzettamento… Ma il suo spezzare… è quel trascinare che congiunge ciò che nello stacco è distinto”,
scrive Martin Heidegger nel suo In cammino verso il linguaggio. Non è una rottura cieca, non è solo frammentazione: il dolore è punto di connessione, è soglia tra ciò che eravamo e ciò che potremmo diventare.
In greco, “armonia” significa “connessione di due elementi”. La mitologia ci racconta che Armonia è figlia di Ares, dio della guerra, e Afrodite, dea dell’amore. Già in questa origine divina si cela un mistero: la sintesi degli opposti. Ed è proprio nel dolore che si manifesta questa tensione fondamentale dell’esistenza. Perché nel dolore, guerra e amore si incontrano, come se ogni ferita fosse anche un varco, un’apertura verso qualcosa di più profondo.
Il dolore è una delle esperienze più universali. Lo troviamo in tutte le culture, in tutte le epoche e in ogni ambito dell’esistenza: fisico, psichico, spirituale. È stato al centro della riflessione filosofica, ma anche oggetto di studio della psicologia e della medicina.
Nel romanzo Le benevole di Jonathan Littell, il protagonista afferma: “Il dolore è reale. Tutto il resto è sospetto.” E in L’anno del pensiero magico, Joan Didion racconta il dolore per la perdita del marito come uno stato alterato della realtà, un mondo parallelo dove il tempo si dilata e si deforma. Non è solo sofferenza, è trasformazione.
In ambito psicologico, Viktor Frankl, sopravvissuto ai campi di concentramento e fondatore della logoterapia, scrive:
“Quando non siamo più in grado di cambiare una situazione, siamo chiamati a cambiare noi stessi.”
Il dolore, per Frankl, è un’occasione di senso. È la prova ultima della libertà interiore dell’uomo: la possibilità di dare significato anche alla sofferenza.
Irvin D. Yalom afferma che “il dolore esistenziale non si cura, si accompagna.” Non va evitato, ma ascoltato. È nella sua accoglienza che può rivelarsi una via di guarigione.
Il dolore nell’infanzia: l’origine della frattura
È nell’infanzia che molte delle nostre ferite più profonde si imprimono, spesso silenziosamente. Il trauma, anche se non riconosciuto, modella l’intera architettura dell’identità. Secondo Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista,
“il bambino non ha bisogno di genitori perfetti, ma di una madre sufficientemente buona.”
Quando questa base viene meno, si crea uno spazio di frattura, un dolore arcaico che riaffiora in età adulta.
Bessel van der Kolk, nel suo libro Il corpo accusa il colpo, mostra come il trauma infantile si imprima nel corpo e nel sistema nervoso, influenzando la capacità di amare, fidarsi, restare presenti. Ma proprio riconoscendo queste ferite si apre la possibilità di trasformarle in consapevolezza, in compassione, in forza interiore.
Dolore e creatività: l’arte come riscrittura della ferita
Molti artisti hanno trovato nel dolore il motore della loro creazione. Virginia Woolf scrisse: “La melancolia è la madre dell’arte.” Il dolore, se attraversato, diventa linguaggio. È nella frattura che si apre uno spazio nuovo, uno spiraglio attraverso cui può filtrare la luce della creazione.
Louise Bourgeois, artista del Novecento, trasformò i ricordi traumatici dell’infanzia in sculture potenti, quasi rituali. “L’arte è una garanzia di sanità mentale”, diceva. Così come Frida Kahlo, che fece del proprio corpo ferito una tela di rinascita e testimonianza.
Il dolore, quando trova un canale espressivo, diventa ponte. Tra passato e presente, tra sé e gli altri. Diventa condivisione, empatia, comprensione collettiva.
Come attraversare il dolore: meditazione e rawfullness
Come si affronta il dolore senza esserne distrutti? Una risposta arriva dalle pratiche contemplative. La meditazione, soprattutto nella sua forma di mindfulness e rawfullness, ci insegna a stare nel dolore senza fuggirlo, a osservarlo senza giudizio. La rawfullness – presenza totale al “crudo” della vita – ci invita ad accogliere le emozioni più intense come parte integrante del nostro processo evolutivo.
Tara Brach scrive: “Solo quando abbracciamo completamente la nostra esperienza – senza giudizio, con compassione – possiamo trasformarla.” Il dolore, accolto nella consapevolezza, smette di essere nemico e diventa maestro. Un maestro severo, ma capace di portarci in profondità.
È possibile superare il dolore?
Sì, ma non nel senso di eliminarlo. Superarlo significa integrarlo. Significa riconoscerlo come parte del nostro cammino. L’uomo è capace di superare il dolore se ne fa esperienza piena, se ne accetta il messaggio e lo trasforma in visione.
Come scrive Kahlil Gibran ne Il profeta: “Il vostro dolore è la rottura del guscio che racchiude la vostra comprensione.” E lì, nella rottura, c’è l’inizio di una nuova nascita.
Consigli ed esercizi di rawfullness: come restare presenti nel dolore
La rawfullness è una pratica di consapevolezza profonda che ci invita a stare nel “crudo” dell’esperienza, senza filtri, senza fuggire. A differenza della mindfulness, che punta alla presenza gentile, la rawfullness accoglie anche l’intensità, il caos, la ferita aperta. È meditazione radicale. Ecco alcuni consigli per applicarla concretamente.
1. Siediti nel dolore: il rituale dei 7 minuti
Trova un luogo sicuro. Spegni ogni distrazione. Siediti con la schiena dritta e appoggia le mani sulle cosce. Chiudi gli occhi e porta l’attenzione a ciò che fa male: un ricordo, una perdita, una ferita.
Lascia che il dolore emerga. Non cercare di capirlo. Non giudicarlo. Respiraci dentro.
Ogni volta che ti distrai, torna lì. Resta sette minuti. Anche se brucia. Anche se tremi.
Dopo, scrivi tre parole che descrivono ciò che hai sentito.
2. Il diario crudo
Ogni sera, per almeno 10 giorni, prendi un quaderno e scrivi liberamente ciò che senti, senza censura. Inizia con la frase: “Oggi ho sentito il dolore nel corpo…” oppure “Oggi ho cercato di scappare da…”
Non rileggere. Scrivi per liberare, non per capire. Dopo 10 giorni, torna indietro e cerca una parola che si ripete. È il tuo nodo interiore. Guardalo. Non giudicarlo.
3. Toccare il dolore: la pratica del corpo
Sdraiati a terra, in silenzio. Appoggia una mano sul petto e una sull’addome. Inspira lentamente, ed espira con un suono (“ahhh” o “mmm”), lasciando che il suono accompagni l’energia del dolore verso l’esterno.
Ripeti per almeno 5 respiri lunghi. Poi chiediti: “Dove si è mosso il dolore?”
Questo aiuta a sciogliere tensioni e a riportare l’esperienza nel corpo, lontano dal giudizio mentale.
4. Guardare con occhi crudi
Prendi una fotografia che rappresenta per te un momento difficile o una persona legata al tuo dolore. Guardala in silenzio per almeno 3 minuti. Nota cosa cambia nel tuo respiro. Nota se sorgono parole, rabbia, tenerezza, pianto.
Poi ringrazia l’immagine, anche se ti ferisce. Stai imparando a stare. A vedere. A restare.
5. Il gesto simbolico
Ogni dolore ha bisogno di una forma. Scegli un gesto simbolico da compiere ogni volta che senti emergere il dolore: accendere una candela, mettere una mano sul cuore, toccare un oggetto significativo.
Questo gesto diventa il tuo ancoraggio. Una soglia tra il dolore e la trasformazione.
La rawfullness non promette consolazione. Promette verità. E la verità, anche se inizialmente urla, col tempo guarisce. Perché ogni volta che resti, ogni volta che non fuggi, qualcosa dentro di te si riassembla. E quel dolore, un giorno, non sarà più ferita. Sarà strada.