Il Ceto Medio Italiano Sotto Pressione – Redditi Fermi, Calano i Consumi e il Merito Non Viene Riconosciuto
Il Rapporto Cida-Censis fotografa un’Italia bloccata: la classe media galleggia senza prospettiva. A rischio crescita, coesione sociale e democrazia economica.
23 Maggio 2025
Sergio Angrisano
Il ceto medio italiano sotto pressione: stagnazione economica e mancanza di prospettive
Il 66% degli italiani si riconosce ancora nel ceto medio, ma sempre più spesso lo fa con amarezza. È quanto emerge dal nuovo rapporto Cida-Censis “Rilanciare l’Italia dal ceto medio. Riconoscere competenze e merito, ripensare fisco e welfare”, presentato il 22 maggio 2025. Un’indagine che lancia un segnale d’allarme sulla tenuta sociale ed economica di un’Italia dove chi sta “in mezzo” si sente dimenticato, privo di incentivi e soffocato da un sistema fiscale e sociale che non lo tutela.
Merito disatteso, capitale culturale svalutato
Oltre il 90% degli intervistati ritiene che conoscenza, istruzione e competenze siano valori fondamentali per costruire il proprio futuro. L’82% di coloro che si identificano nel ceto medio denuncia che il merito non viene riconosciuto e che il proprio capitale culturale non si traduce in una retribuzione adeguata. Un cortocircuito tra formazione e riconoscimento che genera frustrazione e alimenta il senso di disillusione verso le istituzioni e il mercato del lavoro.
L’inflazione che divora il potere d’acquisto
A questa crisi del merito si aggiunge un altro elemento: l’inflazione. Il rialzo dei prezzi – dai beni alimentari alle spese energetiche, passando per affitti e trasporti – ha compromesso ulteriormente la capacità di spesa del ceto medio. Il potere d’acquisto è stato eroso in modo silenzioso, ma costante, riducendo ulteriormente la qualità della vita di milioni di famiglie.
Redditi stagnanti, consumi in calo
Il dato più allarmante riguarda la tenuta economica delle famiglie: oltre la metà del ceto medio ha visto il proprio reddito fermo negli ultimi anni, mentre più di uno su quattro ha registrato un calo. Solo il 20% dichiara un miglioramento. Tra chi ha figli, il quadro peggiora: rispetto a dieci anni fa, la situazione economica è migliorata solo per il 18%, peggiorata per il 26,9%.
A conferma del disagio, il 45% degli italiani appartenenti al ceto medio ha già ridotto i consumi, compromettendo la domanda interna, motore tradizionale della crescita italiana.
Lavoro qualificato, stipendi da fame
In questa spirale discendente, anche molte professioni una volta considerate solide e stabili vivono un processo di declassamento. Insegnanti, tecnici, impiegati pubblici, professionisti, freelance e lavoratori intellettuali denunciano la svalutazione del proprio ruolo sociale ed economico. La crescente precarizzazione, l’aumento del lavoro autonomo non protetto e l’“uberizzazione” di molte professioni erodono le certezze della classe media e ne minano la resilienza.
Debito privato e ansia da futuro
Molte famiglie del ceto medio sono indebitate. Tra mutui per la casa, prestiti per l’istruzione dei figli o rate per beni essenziali, il debito privato è divenuto una zavorra emotiva e finanziaria. La sensazione dominante è quella di “non farcela”, nonostante l’impegno, lo studio e il lavoro.
Politica e rappresentanza: una classe sociale senza voce?
Il ceto medio è anche sempre più orfano di rappresentanza politica. Troppo spesso ignorato nei programmi elettorali, vive un crescente senso di sfiducia nelle istituzioni e nei partiti. L’aumento dell’astensionismo, anche tra persone istruite e informate, è il sintomo di una frattura profonda tra cittadini e politica.
Aumenta la polarizzazione sociale
La compressione del ceto medio contribuisce all’ampliamento del divario tra ricchi e poveri. Un Paese con una classe media debole è un Paese più instabile, polarizzato, soggetto a tensioni sociali e politiche. La coesione nazionale – avvertono i ricercatori – è a rischio.
Giovani del ceto medio: tra sogni infranti e fuga all’estero
I figli del ceto medio vivono un paradosso: sono più istruiti dei loro genitori, ma meno stabili e più poveri. Le opportunità lavorative scarseggiano, gli stipendi sono bassi, la precarietà è la norma.
Secondo i dati ISTAT, oltre 2 milioni di giovani under 35 sono considerati NEET. Cresce anche il fenomeno della fuga di cervelli: solo nel 2024, oltre 30mila laureati italiani hanno lasciato il Paese per lavorare all’estero, alla ricerca di condizioni migliori.
In molti rinunciano alla casa, alla famiglia, alla genitorialità. Il ceto medio rischia così di non trasmettere più il proprio patrimonio – economico, culturale e sociale – alle nuove generazioni.
Serve un nuovo patto per il ceto medio
“È il momento di ricucire il Paese: servono meno tasse sul lavoro, più equità nel welfare e una nuova centralità del merito. Senza il ceto medio, l’Italia perde crescita, coesione e democrazia economica” ha dichiarato Stefano Cuzzilla, presidente Cida.
Un nuovo patto sociale è urgente: solo rilanciando questa fascia fondamentale della popolazione si potrà immaginare un’Italia più giusta, stabile e proiettata verso il futuro.