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Intervista a FRANCESCO SCARANO, Direttore artistico del Teatro Lendi



Intervista a cura di Sara Barone

Per cominciare, mi piacerebbe entrare direttamente nel vivo delle emozioni che il teatro dona, non solo agli spettatori ma anche e soprattutto a chi si trova dietro il sipario.
Quali potrebbero essere tre parole/aggettivi, capaci di esprimere ciò che il teatro, nella sua sostanza, rappresenta per te e per chi ti circonda?

Come ricordato dal claim che abbiamo in ogni stagione teatrale, la mission principale è: vivi una emozione, regalati la cultura, vieni a teatro.
Ovvero l’importanza di concentrare in questa frase l’emozione.. e le emozioni sono a 360°. Quando mettiamo in scena delle commedie, ad esempio, abbiamo il sorriso sul volto; con spettacoli commoventi invece si riflette, mentre in altre situazioni il pubblico è rimasto entusiasta semplicemente ammirando l’allestimento e la scenografia. E poi, quello che si vive dietro le quinte…il pubblico non potrà mai vivere quello che vive un addetto ai lavori, perché c’è una tensione speciale che poi si stempera proprio contestualmente all’apertura del sipario. Un mix tra ansia, paura, entusiasmo, che quindi tutte queste cose racchiudono questo stato d’animo molto particolare. Almeno per quello che vivo io.

Eppure, negli ultimi anni, c’è stato qualcuno che ha affermato che il teatro stia diventando un lavoro per pochi eletti.
Sei d’accordo con questa affermazione? Qual è, secondo te, il segreto affinché esso mantenga ed abbracci un pubblico sempre più vasto, comprese le nuove generazioni?

Beh, che il teatro sia un lavoro per pochi eletti, su questo sono d’accordo.
Il teatro, per come lo vedo io, è una cosa così seria che veramente lo possono fare in pochi. E non parlo di capacità ma soprattutto di voglia, di passione. È un po’ come il prete che decide di fare il prete, è una vocazione, una missione, non tutti possono intraprendere questa strada.
In generale, tutti possono fare tutto, ma poi dipende da come la persona intraprende quella determinata strada.
Direi quindi che il teatro è per pochi eletti perché in pochi ci credono veramente. Sono pochi quelli che riescono a vedereil palcoscenico come una sorta di Chiesa, come un luogo sacro.
E poi il saper ascoltare e conoscere il proprio pubblico è essenziale. Ovvero, tutte le scalette stagionali e tutti gli spettacoli, direttamente scelti e organizzati da me, vengono selezionati secondo immagine e somiglianza del pubblico, cioè rispetto a quello che il pubblico chiede.
A volte ho azzardato, magari scegliendo spettacoli che immaginavo potessero sorprendere..a volte ho avuto ragione, a volte meno.
Accontentare il pubblico significa conoscerlo e quindi saper scegliere gli spettacoli più adatti a loro.
Il pubblico moderno attualmente direi che preferisce gli spettacoli che ti fanno passare due ore di spensieratezza. Che poi ci sia anche lo spunto di riflessione, ben venga, ma sono soprattutto quelli che poi ti fanno sorridere ed emozionare.
Le nuove generazioni sono quelle che possono maggiormente avvicinarsi al teatro in realtà, perchè il teatro gli apre le porte. Oggi sembra tutto più semplice, gli spettacoli sono sponsorizzati di più tramite i canali social, popolati per la maggiore da un pubblico tra i 16 e i 40 anni mediamente. Dunque il fatto che lo spettacolo venga sponsorizzato maggiormente così, rispetto ai vecchi cartelloni pubblicitari, avvicina molto il pubblico giovane.
Per quanto riguarda le tematiche, invece, noi abbiamo fatto diversi spettacoli parlando di attualità nel vero senso della parola: terra dei fuochi, i tumori, le tasse, la politica.
Oggi il pubblico, anche quello più giovane, si è molto avvicinato a quello che succede in generale intorno a noi e quindi anche, di conseguenza, al teatro.

Sappiamo che, oltre alle innumerevoli collaborazioni con diversi artisti del territorio campano, hai lavorato e lavori anche nell’ambito della produzione teatrale.
C’è uno spettacolo o un artista che in particolare ti è rimasto nel cuore o che ti ha lasciato un’emozione che custodisci gelosamente?

Per quel che mi riguarda, parlando sia in qualità di direttore artistico, che come gestore di teatro e da produttore, in quanto teatrante io posso dire che Massimo Ranieri mi abbia battezzato, perché il primo importante spettacolo per il quale ho vissuto tutte queste emozioni è stato proprio quello di Massimo Ranieri.
Sono passati tanti anni, 10 anni che sembrano tanti, ma che in realtà sono volati, ma questo è per quanto riguarda il mio teatro.
Da qualche anno ho poi instaurato un bel rapporto con Gino Rivieccio producendo i suoi spettacoli, e mi sono interfacciato non solo con un grande artista, ma con un uomo di altri tempi, un vero Signore.

Se avessi potuto far rivivere uno dei grandi artisti del passato, invece, chi avresti voluto sul ‘tuo’ palcoscenico?

Un po’ per come è fatto il mio teatro, dunque propenso di più ad attori, concerti e musical, mi avrebbe fatto piacere un Domenico Modugno.
Certamente ciò mi avrebbe entusiasmato, avrei fatto carte false per portarlo al teatro Lendi.

Da Biagio Izzo a Carlo Buccirosso; da Maurizio Casagrande a Sal Da Vinci. Come anche i volti di Serena Autieri, Simone Schettino, Massimo Ranieri. Possiamo con orgoglio affermare che quella del 2019-20 è una stagione, per il Teatro Lendi, carica più che mai di artisti che rappresentato il fiore all’occhiello della terra nostrana.
Qual è il filo conduttore che tiene insieme tale programmazione?

Come suddetto, direi che è la passione mista alla tensione ciò che ti mette sempre sul pezzo, ciò che ti fa stare con la guardia alta e con quella eccitazione che è sempre diversa, sono spettacoli che alla fine ti regalano sempre nuove sensazioni, anche se i protagonisti sono gli stessi, tutto ciò che c’è intorno cambia sempre.

In occasione della scorsa stagione teatrale, hai affermato che dal primo momento in cui hai iniziato a lavorare al Teatro Lendi, non hai mai smesso di credere che sarebbe diventato un punto di riferimento del territorio campano.
Ad oggi, questo tuo auspicio è diventato realtà, eppure, come tutti sappiamo, non si finisce mai di crescere, imparare e migliorarsi, in ogni campo.
Qual è il tuo sogno, la tua linea guida, in qualità di Direttore Artistico? 

Quando ho iniziato, siamo partiti con una stagione teatrale che prevedeva un solo giorno di replica.
Oggi abbiamo una stagione teatrale che ha ben 3 giorni di replica ed in alcuni casi anche di più, come mi è capitato con Biagio Izzo, per cui ne abbiamo avuti 7.
Questo è motivo di orgoglio, perché vuol dire che la gente sceglie il Teatro Lendi per una serie di valide motivazioni.
Per la struttura, fisicamente e praticamente parlando, con parcheggio, comodità delle sedute, spazi ampi tra le file, palcoscenico adatto per ogni tipo di spettacolo con ulteriori comfort in generale.
Inoltre, ritengo che siamo ben mentalizzati nel fare il teatro. Perché il teatro per me è un luogo sacro, per cui deve consentire all’interno della struttura teatrale la miglior condizione possibile sia per l’artista che deve eseguire lo spettacolo che per chi è dall’altra parte del sipario.
Quello che mi auspico per il futuro è che si continui a vivere sempre di sold-out e magari sempre con quello entusiasmo e tensione positiva che porta ogni spettacolo.
Spero che non si spenga mai questo sogno, ovvero la voglia e la positività in me in qualità di direttore artistico.

In un mondo che cambia di giorno in giorno, e diventa sempre più digitale di anno in anno, come lo vedi il futuro del teatro? Sarà capace di trasmettere ancora quella grande magia che solo esso sa dare?

Io dico semplicemente che il teatro esiste dagli antichi Greci. Le rovine di Pompei, Ercolano, Paestum ci insegnano che in queste antiche civiltà non mancava mai il teatro.
L’uomo, in tutto questo tempo, è andato sulla Luna, ci sono state due Guerre Mondiali eccetera…eppure il teatro dal vivo resta sempre lo stesso.
Possono anche inventare qualsivoglia cosa, qualunque tecnologia, ma nessuno potrà mai, e dico mai, cambiare l’essenza del teatro.