Arteattualità

PASSEGGIANDO PER I VIALI DEL REAL ORTO BOTANICO DI NAPOLI

LA NATURA SI INCONTRA CON LA STORIA

 

Naopli, 5 Aprile 2017

Situato dove meno te lo aspetti, un polmone di verde nel cuore delle città, nella trafficata via Foria, ci si arriva agevolmente, molto ben collegato, possiamo dire che si trova al centro tra il Museo Nazionale Archeologico e il maestoso Palazzo Fuga,” Il Real Albergo dei Poveri “, nell’uso popolare, Reclusorio o Serraglio, è il maggiore palazzo monumentale di Napoli ed una delle più grandi costruzioni settecentesche d’Europa. Una costruzione molto più impressionante di quella bomboniera, tanto vantata, che si chiama a Roma “Porta del Popolo” ». Ed proprio in questo spaccato di storia napoletana che si incontra l’Orto Botanico di Napoli, conosciuto anche come Real Orto Botanico, è una struttura dell’Università Federico II, che fa parte della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali; ha una estensione di 12 ettari e ospita circa 9000 specie vegetali e quasi 25000 esemplari. Si trova in via Foria, vicino al Real Albergo dei Poveri. Fondato il 28 dicembre 1807 con decreto di Giuseppe Bonaparte, l’orto botanico fu costruito su alcuni terreni precedentemente appartenuti ai Religiosi di Santa Maria della Pace e all’Ospedale della Cava. In realtà il progetto fu inizialmente avallato dal re Ferdinando IV, ma la Rivoluzione Napoletana del 1799 ne rese impossibile la realizzazione. Il progetto venne portato avanti da due architetti. Il primo, Giuliano de Fazio, è autore della facciata monumentale e del viale a essa perpendicolare, della stufa temperata, e del viale che porta al Castello. La parte inferiore è invece opera di Gaspare Maria Paoletti. Gli effetti del secondo conflitto mondiale risultarono devastanti per la struttura, alcune aree furono adibite alla coltivazione di generi di prima necessità, tutto il materiale in ferro fu sequestrato e utilizzato per scopi bellici, il colpo di grazia lo subì con l’insediamento di parte della popolazione rifugiatasi a causa dei frequenti bombardamenti che devastarono gran arte della città. Nel 1963 inizia un periodo considerato molto importante per la storia dell’Orto. Diviene infatti direttore Aldo Merola. Sotto la sua direzione, l’Orto acquisì, nel 1967, l’autonomia economica ed amministrativa, il che rese possibile ottenere finanziamenti straordinari per migliorare la struttura: vennero realizzate varie serre (per un totale di 5000 m2), un impianto di riscaldamento e una rete di distribuzione idrica. Il primo direttore dell’Orto, che aprì i battenti nel 1811, fu Michele Tenore (nominato l’anno precedente). Tenore si occupò sia dell’attività scientifica, che delle relazioni esterne. Per quel che riguarda la prima, grande importanza fu data alla ricerca e alla didattica. Furono messe a coltivazione molte specie di uso e interesse in campo medico, ma anche piante esotiche. Le seconde furono portate avanti presso le maggiori istituzioni botaniche d’Europa. Alla fine della sua esperienza come direttore della struttura, nel 1860, le specie coltivate giunsero quasi a toccare il numero di 9000. Guglielmo Gasparrini, entrato in carica nel 1861, proseguì nel miglioramento dell’Orto, risistemando alcune aree che versavano in cattive condizioni e creando un’area destinata ad accogliere piante alpine. Durante la sua gestione fu costruita anche una nuova serra riscaldata (che andava a sostituire la precedente, costruita nel 1818, detta Stufa calda). Egli diede molta importanza anche al Museo botanico.Nel 1868, due anni dopo la morte di Gasparrini, gli subentrò Vincenzo de Cesati, in carica fino all’anno della sua morte, il 1883. A succedergli fu Giuseppe Antonio Pasquale, che era già stato direttore ad interim dopo il 1866. Rimase in carica per dieci anni e il suo successore, Federico Delpino, ebbe molte difficoltà a mantenere intatto il prestigio dell’Orto. Infatti, il suo mandato (1893 – 1905), fu caratterizzato da notevoli Il progetto venne portato avanti da due architetti. Il primo, Giuliano de Fazio, è autore della facciata monumentale e del viale a essa perpendicolare, della stufa temperata, e del viale che porta al Castello. La parte inferiore è invece opera di Gaspare Maria Paoletti. Gli effetti del secondo conflitto mondiale risultarono devastanti per la struttura, alcune aree furono adibite alla coltivazione di generi di prima necessità, tutto il materiale in ferro fu sequestrato e utilizzato per scopi bellici, il colpo di grazia lo subì con l’insediamento di parte della popolazione rifugiatasi a causa dei frequenti bombardamenti che devastarono gran arte della città. Nel 1963 inizia un periodo considerato molto importante per la storia dell’Orto. Diviene infatti direttore Aldo Merola. Sotto la sua direzione, l’Orto acquisì, nel 1967, l’autonomia economica ed amministrativa, il che rese possibile ottenere finanziamenti straordinari per migliorare la struttura: vennero realizzate varie serre (per un totale di 5000 m2), un impianto di riscaldamento e una rete di distribuzione idrica. difficoltà economiche. Il rilancio doveva essere, quindi, l’obiettivo di Fridiano Cavara, succedutogli nel 1906.

Oggi L’Orto Botanico rappresenta un importante punto di riferimento per la città, al suo interno si organizzano decine di iniziative e convegni. Sono stati riattivati da anni  i rapporti con i principali Orti europei e grande importanza è data al ruolo didattico della struttura. Uno dei segni più visibili, comunque, dell’opera meroliana è la ridisposizione delle aree secondo due criteri: quello sistematico e quello ecologico. Le aree espositive sono disposte secondo tre criteri. Quello sistematico, quello ecologico e quello etnobotanico. Fanno parte dell’area disposta secondo il criterio sistematico le seguenti zone: l’area delle Pinophyta; il filiceto, destinato alla coltivazione di felci e piante affini; il palmeto; l’area delle Magnoliophyta ,l’agrumeto; e altre piccole zone dedicate a singole specie. Secondo il criterio ecologico, troviamo le aree denominate: deserto, area destinata ad accogliere le piante succulente; spiaggia, che vede coltivate le piante più diffuse, appunto, sulle spiagge italiane; torbiera, nella quale vengono coltivate le Cyperaceae; roccaglia, destinata all’esposizione di specie tipiche delle zone calcaree degli Appennini; macchia mediterranea oltre alle vasche per la coltivazione delle idrofite. Nella serra tropicale ubicata accanto alla serra Merola è stato riprodotto un mangrovieto con esemplari delle specie Rhizophora mangle, Avicennia nitida, Laguncularia racemosa e Conocarpus erectus, e infine, l’area etnobotanica è la Sezione sperimentale delle piante officinali. All’interno del parco botanico ci sono diverse strutture tra queste non passa inosservato il Castello, un edificio creato tra il XVI e il XVII secolo. Per molto tempo ha ospitato l’Istituto di botanica, il laboratorio, la biblioteca, l’erbario e il museo. Oggi è la sede delle attività amministrative e tecniche, oltre che del museo di paleobotanica ed etnobotanica. L’edificio della Sezione sperimentale delle piante officinali, nel quale sono custoditi semi di molte piante utili e vengono riconosciuti, essiccati e conservati altri tipi di esemplari vegetali. Il C.I.S.M.E. (Centro Interdipartimentale di Servizio per la Microscopia Elettronica). Dipartimento di Biologia Vegetale della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università di Napoli. Ricco il programma di iniziative per i bambini, all’Orto Botanico le “Fiabe di primavera” organizzate dall’Associazione “I Teatrini”. Assisterete ad uno spettacolo da sogno in cui i personaggi di fantasia diventeranno reali grazie alla bravura di giovani attori. Il progetto, oltre ad intrattenere i bambini, ha anche uno scopo didattico in quanto approfondirà il rapporto dei bambini con l’ambiente naturale. Il Sabato e domenica alle 11:00 verrà rappresentato “Il popolo del bosco”. L’ideale per una giornata dedicata alla cultura, ma perché no? Anche per passeggiare semplicemente nei lussureggianti viali tenendosi mano nella mano.

Sergio Angrisano

Direttore Editoriale - giornalista televisivo e scrittore