Redazione

EUTANASIA E BIOTESTAMENTO ITALIA IN RITARDO MANCA LA LEGGE

EUTANASIA E BIOTESTAMENTO ITALIA IN RITARDO MANCA LA LEGGE

Ne parliamo con Tiziana Palumbo Coordinatrice regionale dell’Associazione “EXIT”

Napoli 13 dicembre 2018

di: Sergio Angrisano

Un tema delicato da affrontare quello del fine vita e, delle volontà individuali per affrontare fasi estreme di malattie invalidanti in fase terminale. In Italia continua a esserci un vuoto legislativo difficile da colmare, malgrado il tema sia sempre più dibattuto. Molti i disegni di legge presentati fino ad oggi, ma non c’è stata mai l’approvazione. Mentre per il Biotestamento c’è una legge, che trovò il via libera del Senato, con 180 sì di sinistra e 5 Stelle I Radicali, che fecero esultare Cappato, che alzò la posta “Ora avanti con l’eutanasia”, quel Marco Cappato, che a febbraio dello scorso anno accompagnò in Svizzera a morire Dj Fabo, il cui ultimo messaggio fece molto discutere: “Sollevato da un inferno di dolore non grazie allo Stato”, manca una legge che  legalizzi l’eutanasia ed il suicidio assistito. Un Paese civile non può avere un vuoto legislativo di tale importanza sociale. Attualmente all’esame della Camera c’è un testo unificato: norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, già esaminato dalla commissione affari sociali. In tutto sono 6 le bozze depositate in Parlamento. La Costituzione ha trionfato sulle istanze paternalistiche del codice penale e sulla grave inerzia del legislatore, che nonostante le varie sollecitazioni, non si è mai determinato a regolare la materia del suicidio medicalmente assistito. La Corte costituzionale ha rilevato che l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti. La situazione è allo stato, sembra essere imbrigliata, infatti, per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina, la Corte ha deciso di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale all’udienza del 24 settembre 2019. Resta ovviamente sospeso il processo a quo. Proviamo intanto a mettere un po’ di ordine, per capire qual è il rapporto tra suicidi e malattia, siamo andati a verificare un’analisi pubblicata il 15 febbraio dall’l’Istat delle malattie fisiche e mentali associate ai suicidi, contando cioè gli stati di malattia riscontrati in persone che hanno deciso di porre fine alla propria vita. Emerge un primo dato che, rileva che le statistiche sui decessi volontari di persone malate erano state sospese a partire dal 2010. Lo scorso anno, emerge che; un gruppo di familiari abbia lanciato un appello per chiederne il ripristino. E se da un lato non è possibile stabilire una relazione causale certa tra presenza della malattia e suicidio, dall’altro nell’analisi si specifica che il numero di casi possa essere sottostimato. Dallo studio infatti, si apprende che tra 2011 e 2013 circa in un caso su cinque il suicidio è associato alla presenza di una o più malattie gravi, dunque di condizioni fisiche o psichiche talmente debilitate che potrebbero aver influenzato la scelta di morire. Si tratta di 2.401 casi su un totale di 12.877 suicidi. E quando sul certificato di morte compare anche la menzione di una patologia, per una parte rilevante (quasi il 31%) si tratta di sole malattie fisiche – per la maggior parte tumori – mentre in oltre il 69% dei casi sul certificato di morte assieme al suicidio è riportata la presenza di una malattia mentale. L’analisi Istat inoltre specifica che “la frequenza di stati morbosi rilevanti è più alta al crescere dell’età e nelle donne (la proporzione di suicidi con morbosità associata è del 27% nelle donne e del 16% negli uomini)”. Quando è presente una malattia, si sceglie spesso di morire nel luogo stesso di cura, soprattutto per chi è affetto da una patologia fisica: in questo caso si ritrova menzionato un istituto, un hospice o una struttura residenziale in un caso su tre. Alla dottoressa Palumbo, Coordinatrice  per la Campania dell’Associazione “Exit”, Associazione, voluta e fondata da: Emilio Coveri, presidente di Exit Italia (Associazione italiana per il diritto a una morte dignitosa, 38.000 soci e oltre 20 anni di attività), nel giorno della notizia del primo caso di ‘dolce morte’ per un minore in Belgio. L’Associazione è aconfessionale, apolitica, riconosciuta organizzazione non lucrativa di utilità sociale dallo Stato italiano e che ha come scopo principale la promozione del diritto all’eutanasia. Fondata nel 1996 come centro studi sull’eutanasia, nel 1997 diviene la prima associazione italiana a promuovere il diritto a tale pratica. Ha sede a Torino. L’associazione fornisce anche informazioni sull’attività svolta dall’associazione svizzera Dignitas per il suicidio assistito, la quale accetta le richieste indipendentemente dalla nazionalità del richiedente. L’associazione Exit Italia, insieme all’associazione Libera Uscita, rappresentano i membri italiani della World Federation of Right to Die Societies. Sono “90 al mese i cittadini italiani che chiamano l’associazione Exit Italia per chiedere di avere informazioni su come ottenere il suicidio assistito in Svizzera. E mi è capitato anche di ricevere due richieste per pazienti minorenni, da parte di genitori disperati. Naturalmente, per loro non abbiamo potuto fare nulla”. A Tiziana Palumbo chiediamo intanto di spiegare che cosa è il testamento biologico “Il testamento biologico è il documento con cui si registrano le proprie indicazioni di trattamento, qualora in futuro ci si trovi nella condizione di non poter più esprimere la propria volontà o venisse meno la propria capacità di intendere e comunicare, a causa di un incidente grave o per una malattia acuta e invalidante. Mentre, per; “eutanasia si intende l’azione o il mancato atto medico che procura la morte, allo scopo di alleviare le sofferenze di una persona malata “. Questa pratica, continua Tiziana Palumbo, si distingue in: Eutanasia attiva – quando deve essere compiuta un’azione concreta per indurre la morte. Eutanasia passiva – quando il decesso è causato da un mancato intervento. Si tratta in ogni caso di uccisione di un soggetto consenziente. Prima di passare agli aspetti Costituzionali, per una informazione competa, chiediamo ancora alla responsabile regionale per la Campania dell’Associazione Exit, di spiegarci cosa si intende per suicidio assistito, “Il suicidio assistito consiste nel fornire medicinali idonei a una persona che così può porre fine alla propria vita autonomamente. Preciso, continua la dottoressa Palumbo che, Il rifiuto delle cure è nel diritto italiano. Attualmente, purtroppo, nel nostro Paese non c’è una legge che regoli la possibilità di rifiutare le cure e disporre in anticipo indicazioni di trattamento. Esistono diverse iniziative, come le centinaia di registri istituiti in ordine sparso nei comuni, ma le normative vigenti risultano a volte contrastanti e i diversi casi di cronaca hanno contribuito a sedimentare una giurisprudenza varia sui temi del fine vita. In mancanza di una legge organica molti aspetti rimangono controversi. Pensi, l’art. 32 della costituzione italiana stabilisce che: “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. La falla legislativa, nasce proprio da questo, esistono  infatti una serie di norme limitano la libertà di scelta del paziente . Se , s considera che il codice penale, l’art. 579 punisce con la reclusione da 6 a 15 anni l’omicidio del consenziente, reato che potrebbe configurarsi in caso di eutanasia passiva. Mentre l’art. 593 punisce l’omissione di soccorso, di cui potrebbe essere accusato il medico dopo l’interruzione della nutrizione artificiale o per l’arresto del respiratore automatico. Nel codice civile: L’ articolo 5 esplicita che “Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica”. In Europa sono da tempo più avanti di Noi italiani, continua la Palumbo, “La convenzione di Oviedo, primo strumento giuridico di bioetica promosso dal consiglio d’Europa. Di cui sono rilevanti – L’articolo 5: “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”. Mentre – L’articolo 9, recita testualmente che: “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”. Tuttavia nel nostro paese la procedura di ratifica si può dire “arenata” da tempo, poiché nonostante la legge di ratifica 145/2001, non sono mai stati emanati i decreti legislativi per adattare le leggi vigenti ai principi della convenzione. Siamo dinanzi ad una vera e propria jungla legislativa, In particolare vale la pena citare la sentenza 21748 del 16 ottobre 2007, in cui si ribadisce che in base all’art. 32 della costituzione: “I trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge, sempre che il provvedimento che li impone sia volto ad impedire che la salute del singolo possa arrecare danno alla salute degli altri e che l’intervento previsto non danneggi, ma sia anzi utile alla salute di chi vi è sottoposto (Corte cost., sentenze n. 258 del 1994 e n. 118 del 1996). Soltanto in questi limiti è costituzionalmente corretto ammettere limitazioni al diritto del singolo alla salute, il quale, come tutti i diritti di libertà, implica la tutela del suo risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell’interessato, finanche di lasciarsi morire”. Mentre sulla possibilità di esprimere in anticipo le proprie volontà di trattamento l’unica regione ad aver dato forma ad una norma sulla  materia è il Friuli Venezia Giulia, la cui legge però è stata impugnata dalla presidenza del consiglio dei ministri, e in seguito dichiarata illegittima dalla corte costituzionale con la sentenza 216/2016, stabilendo che una normativa regionale in materia interferisce con la competenza legislativa dello stato e necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale per ragioni di uguaglianza, al pari della normativa sulla donazione di organi e tessuti. Ma anche in assenza di una norma specifica, sono comunque numerosi i comuni che hanno disposto dei registri per il testamento biologico. Secondo l’associazione Luca Coscioni sono oltre 150. Iniziative di questo tipo non hanno valore legale – tant’è che nella bozza di testo unificato si parla di un riconoscimento retroattivo di questi registri (art.5). Allo stato attuale, anche in assenza di una norma specifica, in caso di necessità possono essere comunque utili per ricostruire le volontà del paziente incosciente di fronte ai giudici. Ci avviamo verso la conclusione di questa lunga intervista, con l’impegno di rivederci per approfondire l’aspetto normativo-costituzionale, ma , Tiziana Palumbo è un fiume in piena, porta ancora indelebile nella mente, il dolore, per la predita per l’amato papà, di recente scomparso tra enormi sofferenze.  Aggiunge e conclude, dicendo che, secondo uno studio diffuso dallo stesso Consiglio d’Europa, l’espressione “saranno tenuti in considerazione” risulta generica e non vincola i Paesi europei a dare un valore legale alle volontà anticipate di trattamento. In effetti il quadro normativo nei vari paesi europei risulta variegato. Il testamento biologico è la possibilità più diffusa nelle normative nazionali. Un primo gruppo è costituito dai paesi dove esiste una normativa che assegna valore legale e vincolante alle volontà del paziente, espresse anche prima di ammalarsi o di ritrovarsi nella condizione di non poterle più esplicitare. Ne fanno parte: Regno Unito – Austria – Croazia – Spagna – Ungheria – Belgio – Paesi Bassi – Finlandia – Svizzera – Lussemburgo – Portogallo e la Germania. In quasi tutte le nazioni esistono condizioni specifiche o anche limitazioni al valore legale del testamento biologico. La Francia è un caso a parte. Oltralpe il testamento biologico è normato ma non è legalmente vincolante. Secondo la legge 2005-370 del 22 aprile 2005 le volontà del paziente devono essere necessariamente prese in considerazione dal medico, ma hanno un mero valore consultivo (art. 7) e sono un elemento tra gli altri nel processo di decisione; tuttavia la legge stabilisce anche in modo chiaro la possibilità di limitare o interrompere i trattamenti. Le volontà anticipate per altro devono risalire a meno di tre anni prima. Infine ci sono i paesi in cui non è prevista la possibilità di stabilire in anticipo quali trattamenti accettare o rifiutare e in quali condizioni. Di questo gruppo fanno parte: Italia – Estonia – Bulgaria – Cipro – Grecia – Irlanda – Lettonia – Lituania – Latvia – Malta – Polonia – Romania – Repubblica Ceca e Slovacchia e Svezia. In quest’ultima i pazienti devono comunque acconsentire ai trattamenti sanitari e secondo fonti giornalistiche una sentenza del 2010 ha stabilito che i trattamenti possono essere interrotti se il paziente lo chiede comprendendo appieno le conseguenze della sua richiesta. Dunque pur in assenza di una normativa sul testamento biologico, è possibile il configurarsi casi di eutanasia passiva. Noi, ringraziamo la dottoressa Tiziana Palumbo, ma soprattutto il Presidente dell’Associazione Exit che con le loro battaglie porteranno in questo Paese un diritto negato, riporto letteralmente, una frase molto cara al presidente Coveri “ Dare quel diritto di libera scelta ad ognuno di noi affinché  si possa decidere liberamente sulla fine della nostra esistenza e soprattutto che questa fine possa essere dignitosa e senza inutili sofferenze, è il principio che ci ha sempre animato. Indro Montanelli diceva: “se abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte! Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi, il poter decidere del quando e del come della nostra morte”.

Noi aggiungiamo: EUTANASIA, E’ DECIDERE PER SE’ STESSI! … non per altri!

… ma voi ci credete?

Sergio Angrisano

Direttore Editoriale - giornalista televisivo e scrittore