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Intervista a Simona Viciani, traduttrice ufficiale di Bukowski: “un poeta con un’anima in fiamme

Napoli, 13 giugno 2022

Intervista a Simona Viciani, traduttrice ufficiale di Bukowski: “un poeta con un’anima in fiamme”

di Antonio Russo

Simona Viciani, pavese, è la traduttrice ufficiale italiana del poeta e scrittore americano Charles Bukowski per la casa editrice statunitense Harper Collins. In Italia Bukowski è pubblicato da Feltrinelli e Guanda e la Viciani ha tradotto oltre 60 opere tra romanzi, racconti e raccolte di poesie. Una vita spesa alla comprensione di uno degli autori americani più famosi al mondo vissuto di eccessi con un’anima in fiamme.

Oggi abbiamo incontrato Simona Viciani, pavese, figlia del noto pittore Gigi Viciani, traduttrice ufficiale dello scrittore americano Charles Bukowski. Ci racconta del suo amore per Charles Bukowski. Un culto, il suo, nato a soli 15 anni nella biblioteca paterna. Una libreria ben fornita e impreziosita da parecchi volumi. Attira la sua attenzione un libro posto in alto, si arrampica sullo scaffale e prende il romanzo “Donne” di Bukowski. Nasce così il mito della traduttrice di Bukowski. Si trasferisce appena 20enne a Palos Verdes in America, per un lavoro di archivista per la famiglia di Mario Lanza, noto tenore italoamericano. Mai incontrerà Bukowski in persona. Ma guadagna sul campo il ruolo di traduttrice ufficiale italiana di Bukowski grazie una prova in doppio cieco sostenuta a New York insieme ad altri tre candidati. Una donna italiana, un’eccellenza all’estero che porta la bandiera italiana in alto. Insomma un mito nel mito. Quel mito letterario, Bukowski, un poeta solitario, incompreso, un burbero benefico, un fotografo della realtà senza freni e con un’anima in fiamme. Sì, proprio lui ha trovato la sua traduttrice in una donna con un animo gentile.

Antonio Russo: Ci può raccontare com’è nata la sua passione per Charles Bukowski?

Simona Viciani: “La mia passione è nata quand’ero una ragazzina. Avevo 15 anni. Ho scoperto il libro “Donne” di Bukowski nella libreria del mio babbo (il padre noto pittore pavese Gigi Viciani, n.d.r.). Il libro era posizionato molto in alto; così, sono andata a pescarlo, l’ho letto e mi sono innamorata dell’autore. Ho iniziato a leggere tutto di Bukowski. A vent’anni sono trasferita per lavoro negli Stati Uniti. Era per un lavoro di archivista per la famiglia di Mario Lanza, noto tenore italoamericano. Il caso ha voluto che la famiglia Lanza abitasse vicinissima a San Pedro (zona portuale della città statunitense di Los Angeles, n.d.r.). Io mi trovavo a Palos Verdes ( città della Contea di Los Angeles in California, n.d.r.) quindi a pochi chilometri dalla casa di Charles Bukowski. Lavoravo alla mattina come archivista e al pomeriggio scorrazzavo per i posti che Bukowski descriveva così bene nei suoi libri, con la speranza di incontrarlo; purtroppo, non è mai avvenuto l’incontro. Sapevo dove abitava, ma sapevo anche da vera cultrice di Bukowski che odiava il lettore che si presentava alla sua porta…(ride).

Una sera ero in un bar e ho incontrato un signore che conosceva bene la moglie di Bukowski ( la moglie di Bukowski Linda Lee, n.d.r.). Ho scritto su un tovagliolino al bancone il mio numero di telefono. Dopo qualche giorno mi ha chiamato la moglie di Bukowski e da lì ci siamo incontrate”.

A.R: Com’è nata la sua attività di traduttrice?

S.V: “Mentre ero a Los Angeles, mi è stato offerto da Al Berlinski, editore americano della casa editrice Sundog Press, di tradurre l’intervista di Fernanda Pivano “Quello che importa è grattarmi sotto le ascelle” uscito in Italia per i tipi di Feltrinelli. Al Berlinski mi contatta e mi dice che Fernanda Pivano (allieva di Cesare Pavese e traduttrice dei grandi della letteratura americana- es. Hemingway e autori della Beat Generation – una delle figure importantissime della cultura italiana, n.d.r.) voleva che lo facessi io. Lei non riusciva più a trovare le bobine originali dell’intervista a Bukowski e quindi io ho fatto il lavoro inverso di traduzione: dall’italiano all’americano. Alla fine della traduzione ho fatto leggere la mia traduzione a Linda Lee e lei mi ha fatto il complimento più bello potesse farmi: “sembra di sentire parlare mio marito”. In Italia volevano un traduttore maschio… ho fatto una prova in doppio cieco con altri tre traduttori maschi. Hanno scelto la mia traduzione. Meno male ( ride). Del resto come dico sempre sono certa che a Bukowski sarebbe piaciuto finire nelle mani di una donna. Ho un contratto con l’Harper Collins, casa editrice americana, che sancisce che chi vuole pubblicare Bukowski in Italia deve avere me come traduttrice”.

A.R: Ha un rapporto di amicizia con Linda Lee, la moglie di Bukowski, colei che l’ha salvato da una morte prematura. Cosa le ha raccontato di Bukowski uomo che non tutti conoscono?

S.V: “La caratteristica di Bukowski è proprio quella di raccontare se stesso in tutti i suoi lavori, quindi è difficile trovare qualche aneddoto che lui non abbia già raccontato. Linda Lee mi ha confidato come e quando si sono incontrati. L’ha conosciuto a un reading di poesie al Troubadour, un locale underground, al centro di Los Angeles. Quella sera Bukowski era attratto da tre donne che l’hanno fermato dopo il reading una delle quali era proprio Linda Lee. Poi la storia fra i due si è sviluppata com’è raccontato nel romanzo “Donne”. Forse solo due aneddoti non sono stati descritti da Bukowski. Linda mi ha raccontato che ogni compleanno di lei, Bukowski doveva fare tutto ciò che li voleva, ad esempio una volta ha dovuto portarla a Disneyland, cosa che Il vecchio Buk odiava. Linda, inoltre, mi ha detto che a ogni San Valentino Bukowski dipingeva un quadro per lei riempiendolo di cuori e di dediche… (ride)”.

A.R: Quanto è stato complesso tradurre le opere di Charles Bukowski?

S.V: “Sto traducendo l’opera omnia e negli Stati Uniti escono tuttora delle raccolte inedite di poesie. Io ho avuto il privilegio nella mia vita di tradurre prevalentemente un solo autore, che conosco molto bene, quindi mi è stato più facile calarmi nel suo modo scrivere interpretandone l’anima. Tuttavia ci sono stati libri più difficili da tradurre in particolare due: “Storie di Ordinaria Follia” e la corrispondenza epistolare tra Bukowski e Sheri Martinelli che uscirà il prossimo autunno per la casa editrice Guanda. È stato difficile tradurre “Storie di Ordinaria Follia” perché erano gli anni più duri, più frustranti per Bukowski. Era il momento in cui Bukowski voleva scrivere, ma doveva fare mille lavori degradanti. Ci sono racconti senza punteggiatura; altri, invece, dove i tempi vanno dal presente al passato. Molto impegnativo.

L’altro libro di cui parlavo è quello della corrispondenza durata 7 anni negli anni Sessanta tra Bukowski e Sheri Martinelli. Lei era modella, amica intima e allieva di Ezra Pound. La traduzione di questo libro è stata molto impegnativa poiché Sheri Martinelli nomina costantemente i “Cantos” di Pound che sono di una difficoltà estrema infarciti di riferimenti mitologici, scritti in stile aulico con punteggiatura e sintassi bizzarre. Bukowski risponde a tono. La genialità dell’americano di Bukowski in queste lettere sta nel fatto che utilizza una lingua che va dagli anni Venti alla fine degli anni Sessanta modernizzandola creando dei neologismi. Questa è la genialità di Bukowski.”

A.R: Bukowski usava anche termini tedeschi all’interno della sua produzione letteraria. Perché lo faceva?

S.V: “Lo faceva perché lui da piccolo parlava fluentemente tedesco. La madre era tedesca (la madre di Bukowski si chiamava Katharina Fett, n.d.r) e il padre americano ( il padre dello scrittore americano si chiamava Henry Bukowski, n.d.r.). Lo scrittore nacque ad Andernach ( una città della Germania del nord, n.d.r.). La famiglia Bukowski emigrò negli Stati Uniti, quando Hank aveva 3 anni. In casa si parlava il tedesco; crescendo in California ha dimenticato la lingua di origine. Talvolta inseriva termini in tedesco soprattutto nelle lettere. Questo è molto bello, perché Bukowski usava dire che si sentiva tedesco in America e americano in Europa. Si sentiva sempre al limite: non totalmente accettato in America. Un outsider”.

A.R: Bukowski si è ispirato a grandi scrittori da Ernest Hemingway a Henry Miller. Quali sono gli scrittori che l’hanno influenzato di più?

S.V: “Forse tra i più importanti, Fëdor Dostoevskij, John Fante e Céline. Soprattutto John Fante”.

A.R: La raccolta di racconti intitolata “ Erections, ejaculations, exhibitions and general tales of ordinary madness” contiene al suo interno dei racconti che narrano dello uno stupro di una bambina e di un rapporto sessuale con il cadavere di una donna, tradotti da lei e pubblicata dalla casa editrice Feltrinelli in Italia in due volumi: “Storie di ordinaria follia” e “Compagno di sbronze”. Questi racconti forse allontanano i lettori da Bukowski, ma quale messaggio celano i racconti in realtà?

S.V: “Le riporto la risposta che Bukowski dava in merito a questi racconti… Diceva di essere un fotografo della realtà, fotografava quello che succedeva. Riportava semplicemente sulla pagina fatti che possono accadere per davvero o che sono accaduti per davvero. È l’atto geniale di Bukowski: lui non l’ha vissuto in prima persona, ma l’ha descritto. Sono stata male quando ho dovuto tradurre questi racconti (sospira). Su questi temi oltre che dalla cronaca forse Bukowski ha preso ispirazione da Dostoevskij. Forse Bukowski cercava ciò che alberga nella mente umana riportando sulla pagina le assurdità dell’animo umano … ”.

A. R: Ha incontrato sul suo percorso lavorativo una delle celeberrime intellettuali italiane Fernanda Pivano, allieva dello scrittore Cesare Pavese, la quale intervistò Bukowski il 24 agosto 1980 nella sua villa a San Pedro in California ( intervista pubblicata dalla casa editrice Feltrinelli con il titolo Quello che importa è grattarmi sotto le ascelle). Le ha mai raccontato qualcosa di inedito di quell’incontro tra loro?

S.V: “Sì, mi ha raccontato che aveva un po’ di timore perché la fama di Bukowski lo precedeva… Bukowski invece durante l’intervista l’ha trattata con estrema gentilezza e amabilità. In quell’incontro Bukowski offrì una birra alla Pivano che lei rifiutò. Era astemia. Nonostante tutto riuscirono a portare a termine l’intervista. (ride)”.

A.R: Bukowski è stato un poeta e scrittore troppo avanti per suoi tempi?

S.V: “Sì, era all’avanguardia, anzi profetico. Le sue poesie sembrano arrivare dal futuro. Ha uno stile unico e un modo di srotolare il verso sulla pagina che ti stende. Gli argomenti che tratta sono attuali e simili a quelli della nostra epoca. Amo in particolare la sua maturità e spontaneità nel chiudere racconti e romanzi. Con un finale di tipo circolare. Niente colpi di scena se non la vita stessa ”

A.R: L’autore agli inizi ha avuto maggior successo in Europa che in America. Secondo lei, perché ha acquisito grande successo nel vecchio continente?

S.V: “Secondo me è merito di Carl Weissner, traduttore tedesco, mio grande amico, scomparso diversi anni fa. Carl era non solo il traduttore di Bukowski, ma era anche suo agente e suo carissimo amico. Carl era un portento come traduttore e ha lanciato Bukowski in Europa. In America invece le persone erano più bigotte come sono di solito gli americani (ride). Bukowski aveva una radice Mitteleuropea, era più vicino a noi europei”.

A.R: Bukowski preferiva stare solo e non amava l’umanità, ma non si identificava nella figura di un misantropo. Come possiamo definire questo comportamento che emerge nei suoi libri ?

S.V: “Lui odiava le chiacchiere, la stupidità e il perdere tempo. Preferiva rimanere solo, perché erano i momenti in cui poteva concentrarsi sulla scrittura. Amava la compagnia dei suoi affini e non la compagnia di altri scrittori che parlavano di libri e di quello che facevano. Bukowski era di indole solitaria, un animo sensibile sotto una scorza da duro”.

A.R: Bukowski è stato un autore prolifico, ha scritto racconti, romanzi e poesie. Preferiva scrivere poesie. Secondo lei perché?

S.V: “Bukowski aveva esordito negli anni Quaranta con un racconto e agli esordi era la sua forma letteraria preferita. Dopo un grave episodio di emorragia interna venne ricoverato in ospedale in pessime condizioni. Uscito dall’ospedale iniziò a scrivere. Questa volta poesie. Anche Bukowski stesso non sapeva spiegarselo, dopodiché la poesia divenne la forma creativa che prediligeva. Spesso lee poesie sono abbozzi di racconti; e i racconti diventano capitoli di romanzi. Penso che la poesia fosse per lui fosse il mezzo espressivo più facile. Ho visto e letto i carteggi originali e posso dire che Bukowski correggeva pochissimo le sue poesie a differenza per esempio di Hemingway”.

A.R: Molti lettori non apprezzano l’autore sia per i temi trattati, sia per i suoi contenuti. Qual è, secondo lei, la chiave di lettura per comprendere appieno Bukowski?

S.V: “Bisognerebbe iniziare dalla lettura della poesia “L’uccello azzurro”. Bukowski si mostra al lettore mettendo a nudo la propria anima. Questa è la giusta chiave di lettura per comprendere Bukowski”

A.R: Quale romanzo suggerisce ai lettori che vogliono intraprendere la lettura di Bukowski?

S.V. “Post Office. È il suo romanzo d’esordio ed è molto ironico. Un libro che racconta la quotidianità, l’alienazione e le cose che noi tutti non amiamo ma che siamo costretti a fare per arrivare a fine mese. Si entra subito nella sua poetica con questo romanzo che raffigura appieno il sereno cinismo guascone di Bukowski”.

A.R: Quali sono le poesie e i racconti che consiglia ai lettori ?

S.V. “Per quanto concerne la poesia consiglio la trilogia edita da Feltrinelli composta da “ Quando eravamo giovani”, “Il canto dei folli e “ Il grande”. Anche “ Così vorresti fare lo scrittore ?”raccolta edita da Guanda. Suggerisco anche la raccolta di racconti “Azzeccare i cavalli vincenti” che si apre con la storia di una lettera di rifiuto. Un racconto che Bukowski scrisse a ventiquattro anni e che in nuce ha già tutto il sarcasmo e l’ironia che contraddistingueranno la sua produzione espressi nel suo stile essenziale inimitabile”.

A.R: In Italia si può vivere di sola traduzione?

S.V: “No, assolutamente! ( ride) Io ho tradotto i libri di Bukowski, circa 60 libri. In Italia i traduttori sono pagati per la traduzione. E tutto finisce lì, fino alla scadenza ventennale dei diritti sulla traduzione. In altri paesi i traduttori hanno diritto a una piccola percentuale su ogni libro venduto. Pivano aveva tentato di cambiare la “formula italiana” senza successo”.

A.R: Un suo messaggio per i lettori di Bukowski?

S.V: “Continuate a leggere Bukowski! Diffondete il verbo, leggete il Maestro”.

A.R: Un’ultima domanda prima di salutarci: sta traducendo altre opere inedite di Bukowski in italiano in questo momento?

“S.V: Sì, “Notti di bevute e schiamazzi”, come accennavo è il carteggio tra Bukowski e Sheri Martinelli. La fanciulla bellissima di cui Bukowski si era palesemente infatuato. Il carteggio (corrispondenza per lettera, n.d.r.) inizia nel 1960. Bukowski manda le sue poesie alla rivista underground di cui lei è direttrice. Lei le accantona con una lettera molto pretenziosa dove dà suggerimenti non richiesti a Bukowski. Il libro si apre proprio con questa lettera. Uscirà in Italia il prossimo autunno”.

Sergio Angrisano

Direttore Editoriale - giornalista televisivo e scrittore