Cultura

Intervista a Benedetto Casillo: un buon diavolo di Piedigrotta

Napoli, 17 gennaio 2023

Intervista a Benedetto Casillo: un buon diavolo di Piedigrotta

Si racconta l’attore Benedetto Casillo a NNMagazine tra teatro, giornalismo e consigli ai più giovani

di Antonio Russo

Oggi incontriamo Benedetto Casillo, classe ’50, napoletano, del quartiere di Piedigrotta, noto attore napoletano. Una carriera lunga segnata da tanti successi. L’inizio del suo successo con i Sadici piangenti, un duo degli anni ’70 composto da Renato Rutigliano, fino ad arrivare al grande successo con il film di Luciano De Crescenzo “Così parlò Bellavista” . Ci racconta della sua umile famiglia, dei suoi inizi sul palcoscenico fino ad arrivare alla decisione di lasciare il posto fisso come geometra al Comune di Napoli. Un uomo, devoto alla Madonna di Piedigrotta, il suo quartiere, che rappresenta un pezzo di storia della città di Napoli, una città con mille contraddizioni, ma rimane sempre un piccolo paradiso in terra abitato da diavoli.

Cos’è per lei oggi il teatro ?

“Oggi il teatro è quello che era ieri, per me. Oggi ci è stato un cambiamento, ma non appartiene al mio modo di vedere. Il teatro, per me, è sempre lo stesso. Il teatro è una forma di vita interiore da portare sul palcoscenico e coinvolgere gli altri attraverso questo. È una forma di scambio, di idee, di sentimenti e sensazioni”.

Quando è nata la sua passione per il teatro?

“A dire la verità non è mai nata, nel senso che sognavo di fare ben altro nella vita. Provengo da una famiglia piuttosto umile. Mio padre faceva il guardiano notturno e mia madre faceva la lavandaia. Sognavo di diventare un usciere, perché sembrava un lavoro al coperto, quindi, a differenza dei miei genitori che erano costretti a lavorare all’intemperie e perché non richiedeva, secondo me, un eccessivo impegno nello studio, ma poi ho capito che tutti i lavori sono impegnativi. Sognavo anche di diventare calciatore, infatti, pensavo che io fossi un grande terzino. Ma, a dire il vero ero piuttosto scarso. Frequentavo un’associazione cattolica e c’era questa squadra di calcio e mi relegarono in panchina dalla quale mi alzavo e facevo solo guai e auto goal. C’erano altre attività ludiche in quest’associazione, tra le quali c’era il teatro. Mi dissero: perché non provi a salire sul palcoscenico? Ma non sapevo che cosa fosse. Poi, una sera salì sul palcoscenico, misurai i costumi ed era da solo, non mi sarei mai fatto vedere da qualcuno, mi guardai allo specchio e giurai a me stesso di non salire sul palcoscenico, mai più. Avevo 13 o 14 anni. Non ho mai, però , mantenuto quel giuramento. Dai 17 anni in poi non sono mai più sceso da quel palcoscenico”.

Come definisce la sua città?

“ Qualcuno ha detto una cosa bellissima: è un paradiso abitato da diavoli. Qualcuno altro è andato un po’ meno nella poesia, dicendo: È un bel presepe, ma i pastori non sono buoni. È un dono del Padre Eterno. È una città fantastica, ma a volte ti fa del male. Però, non saprei rinunciare ad essa, assolutamente. È un qualcosa di spettacolare che ti aiuta a vivere, se riesci a superare qualche bruttezza di alcune persone, è un posto incantevole”.

Com’è stato lavorare nel film “Si Accettano Miracoli” con Alessandro Siani?

“È stato un incontro bellissimo. Mi confidò che uno dei suoi primi spettacoli che aveva visto, uno dei miei spettacoli “Epiteto di Ercole”, lui era uno ragazzino. Vide quello spettacolo e si innamorò di questo mondo. Preferisco parlare di Alessandro Siani da un punto di vista umano. È una persona straordinaria, di grande successo, di grande passione e intuito. Si è adoperato molto per portare in teatro “ Così parlò Bellavista”. Dal punto di vista di comico, invece, è una persona che recepisce i tempi delle battute a memoria rapidamente”.

Quali consigli si sente di dare ai giovani che vogliono intraprendere la carriera di attore ?

“Di studiare. Sapere chi sono stati i cardini del teatro napoletano. Qualche tempo fa, in una compagnia di livello nazionale, giravamo l’Italia e parlando con alcuni giovani della compagnia si parlava di attori. Io chiesi chi fosse stato Tino Buazzelli e nessuno seppe rispondermi. Stiamo parlando di una colonna portante del teatro italiano. Credo che la stessa cosa cosa capiti anche con i grandi del teatro napoletano. Attori che hanno fatto la storia del teatro. Per affrontare questo mondo, andrebbero riscoperti questi grandi personaggi: Gennarino Palumbo, Pietro De Vico, Ugo D’Alessio e Geppino Anatrelli. E non fermarsi solo ai più grandi. Un volta buttatosi in questa splendida farina del teatro con Sciosciammocca , Pulcinella e Antonio Petito, allora ti rimane qualcosa dentro”.

Lei è giornalista pubblicista. Quali consigli si sente di dare agli aspiranti giornalisti ?

“ Ho avuto la fortuna di scrivere con continuità su un giornale. Ogni domenica avevo una rubrica di satira che si chiamava ‘O’ Pernacchio”, dove dissacravo le situazioni del momento. Il giornalista pubblicista non è meno del professionista, almeno non dovrebbe esserlo. Questo lavoro è un impegno totale per il pubblico. Anche il pubblicista entra negli occhi e nella mente di chi legge e deve rispettare quelle persone. Quindi, deve comportarsi da giornalista a trecentosessanta gradi. Significa essere rispettoso di quello che si fa, al pubblico a cui si rivolge. Non mettere se stesso davanti alle notizie, non credere di essere nella parte della ragione, che la nostra è pur sempre un’opinione, per quanto accreditata e valida, è pur sempre una parte di noi che spinge. Dipende anche dal settore. È un lavoro come l’artista. Va sempre affrontato alla luce della gioia e della bellezza. Ovviamente, la bellezza intesa come verità”.

Quali consigli le dava Luciano De Crescenzo sul set del film “Così parlò Bellavista”?

“Devo dire la verità: dava pochi consigli, non solo a me. La sera prima di girare le scene, ci incontravamo e ci raccontavamo come avremmo voluto farle. Lui dava spazio alla nostra fantasia, quindi diciamo che siamo cresciuti insieme. Naturalmente, su un corpo già ben definito: il corpo della sua sceneggiatura, della sua stesura, della sua filosofia di vita di quello che voleva raccontare. Si è messo a nostra disposizione con umiltà e impegno. C’è stato un momento in cui lui si è scontrato con la produzione: perché la produzione avrebbe voluto altri attori al posto di alcuni di noi. Lui disse: di no alla produzione. Questi sono i miei attori”.

Ci può raccontare qualche aneddoto inedito su “ Così parlò Bellavista di Luciano De Crescenzo ?

“ Non credo che ci sia qualcosa di inedito. Forse, l’aneddoto riguardo la produzione che vide la scena della lavastoviglie di Maria Confalone, diceva che era una scena troppo napoletana e che andava corretta o tolta. Luciano disse alla produzione: se toccate la scena, il film non lo faccio più. Era assai convinto di ciò che facevamo. Lui arrivò a minacciare lo sciopero per quella scena. Alla fine quella scena è diventata una scena cult del film”.

Un’ultima domanda prima di salutarci: quali saranno i prossimi progetti per il teatro ?

“ Sto lavorando da qualche tempo alla messa in scena del dramma ‘L’uomo dal fiore in bocca’ di Luigi Pirandello. Credo che possa concretizzarlo l’anno prossimo”.

Sergio Angrisano

Direttore Editoriale - giornalista televisivo e scrittore