attualità

Abusivismo della professione giornalistica

Una piaga insanabile? Maggiori controlli
Di Sergio Angrisano
Napoli, 05 luglio 2017
L’abusivismo nella professione giornalistica è ormai una piaga dilagante. Come se non bastasse l’avvento dei “social”, dove ogni singolo giorno ad ogni singolo minuto qualcuno posta, pontifica, scrive qualsiasi cosa gli passi per la testa, sentendosi di fatto “giornalista “ di se stesso, ed in diritto di catechizzare su qualsiasi cosa o persona obiettivo delle proprie personali invettive. Come se non bastasse, la piaga colpisce pesantemente anche il giornalismo televisivo, canali web e web tv, chiunque può accedere ad un canale youtube, un blog e sentirsi giornalista, basta un telefonino o una vecchia telecamera, spesso ingombrante e obsoleta, ed il gioco è fatto. E’ pur vero che ormai giornalismo e blogging sono due realtà impossibili da separare. Se qualcuno mi chiedesse qual è il primo passo da fare per diventare giornalista io gli direi di aprire un blog dove raccontare la realtà. Ma anche chi ha in pugno la professione giornalistica sulla carta stampata dovrebbe lavorare (o almeno saper lavorare) con le piattaforme di blogging, perché ormai non può prescindere dalle dinamiche del web sociale, del passaparola multimediale che permette alle notizie di viaggiare veloce come la luce, del feedback immediato che permette di creare nuovi contenuti. Tutto ciò è evidentemente parte della grande rivoluzione che la comunicazione in generale sta vivendo, ma non prescinde assolutamente dalla necessità di operare nella legalità e nel rispetto delle regole, spesso quelli che operano in tal modo, sono i aspri detrattori della categoria , eppure essi stessi irriguardosi delle regole .Già nel luglio del 2014, fu proposta una importante iniziativa del Parlamento: nei confronti di chi esercita abusivamente la professione di giornalista fu decretata come sanzione una condanna penale “pesante”, per i casi più eclatanti addirittura il carcere. L’orientamento è infatti di far scomparire le attuali blande sanzioni per i redattori e collaboratori abusivi non iscritti all’Ordine. Oggi infatti l’articolo 348 del Codice penale prevede che “chiunque abusivamente eserciti una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa da 103 a 516 euro”. Ciò significa che ce la si può cavare facilmente con una multa abbastanza ridotta senza mai rischiare praticamente il carcere, in quanto la reclusione è alternativa alla sanzione pecuniaria.
Ma il 3 aprile 2014 il Senato ha invece decise di invertire rotta, inasprendo radicalmente le pene previste in caso di violazione dell’articolo 348 del Codice penale in tema di esercizio abusivo di una professione e cancellando la sanzione del carcere alternativa alla multa, in quanto le due sanzioni saranno entrambe cumulabili.
Questo è il nuovo testo dell’articolo 348 del Codice penale in tema di esercizio abusivo di una professione, approvato a Palazzo Madama: «Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a 2 anni e con la multa da 10.000 euro a 50.000 euro. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle attrezzature e degli strumenti utilizzati».
La proposta di legge n. 2281 dei senatori Marinello, Ruvolo, Mazzoni, Torrisi e Pagano passata all’esame della Camera già nell’autunno dello stesso anno (cliccare su: http://www.camera.it/leg17/126?leg=17&idDocumento=2281), ad oggi non trova applicazione. La dilagante piaga dell’abusivismo della professione del giornalista è sempre più evidente. Lo si percepisce ad ogni singolo evento, dai più importanti alla festa patronale, gente incapace, priva di qualsiasi preparazione culturale e professionale occupa spazi e ruoli senza averne i requisiti minimi previsti dalla legge. Spesso dalle pagine dei “social” criticano aspramente l’Ordine, usando epiteti al limite della querela.
Ritengo utile ricordare che il reato di abusività, perché di tale si tratta, richiede che la professione sia esercitata in mancanza dei requisiti richiesti dalla legge, come ad esempio il mancato conseguimento del titolo di studio o il mancato superamento dell’Esame di Stato per ottenere l’abilitazione all’esercizio della professione. Integra il reato anche la mancata iscrizione presso il corrispondente Ordine.
La Corte Costituzionale con la sentenza 27 aprile 1993 numero 199, ha respinto la questione di legittimità costituzionale di tale norma rispetto ai principi di tassatività e determinatezza, affermando, però, nel contempo la natura di norma penale in bianco, in quanto necessita, a fini integrativi, del ricorso a disposizioni extra penali che stabiliscono i requisiti oggettivi e soggettivi per l’esercizio di determinate professioni. Va anche precisato che il primo controllo dovrebbero esercitarlo: organizzatori di eventi e addetti stampa di personaggi, i quali nelle rispettive mailing dovrebbero oltre alla testata richiedere almeno il numero di tessera del giornalista che parteciperà agli eventi per nome e per conto delle rispettive testate, questo sarebbe un primo utile, indispensabile passo verso la legalità ed il rispetto delle regole e del lavoro di chi faticosamente si è guadagnato non solo sul campo, titoli e ruoli, ma anche con anni di studio e di sacrifici.