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Intervista a MARTINA ROSSI, autrice del graphic novel “Percy’s Song”, edizioni Phoenix Publishing

Ritrattista e copertinista per autori indipendenti, illustratrice per il quotidiano “Metro Roma“, colorista per la casa editrice BellaFe ed autrice per l’Americana Studio.
La giovanissima e talentuosa Martina Rossi (classe 1989) è l’ideatrice di Percy’s song, edizioni Phoenix Publishing, il graphic novel che, nei colori e nelle linee di un fumetto, racchiude la storia di Percy e della sua dolorosa epopea in una ‘terra di mezzo’ in cui si ritrova confinato quando, al termine di un lungo sonno, scopre di esser morto.
Un racconto drammatico, che tocca tematiche come la morte e l’attesa della pace eterna, ma che assume i colori della leggerezza grazie ad un tocco lieve, chiaro e delicato della sua autrice. Dopotutto, come lei stessa ha affermato durante la nostra intervista, “non lo distrugge il pensiero di essere morto, quanto la prospettiva di continuare a vivere una vita a metà”.

Intervista di Sara Barone

Grazie, Martina, per averci dato l’opportunità di conoscere meglio te e la tua arte.
Per intraprendere questo cammino, mi piacerebbe partire proprio da dove comincia la tua storia nel mondo del fumetto e dell’illustrazione.
È una strada che hai infatti intrapreso sin da giovanissima, grazie al tuo percorso di studi. Ma quando hai capito che, oltre ad una grande passione, questa sarebbe stata la via maestra per il tuo futuro?


Quando ho smesso di disegnare. Per un periodo della mia vita mi sono dedicata a lavori più convenzionali, mettendo completamente da parte la mia passione principale. Dopo quasi tre anni, mi sono resa conto che stavo lentamente uccidendo una  parte fondamentale di me e ho ripreso la matita in mano.

Il tuo tratto si rivela chiaro, limpido, temperato, proprio come dimostra il tuo graphic novel “Percy’s song”. Eppure, non sempre l’arte del fumetto ha questi connotati così ‘sottili’. Ci sono state delle influenze e/o delle motivazioni che ti hanno portato ad adottare questo stile?


Probabilmente molto dipende dal fatto che vengo dal mondo dell’illustrazione “old school”. Avendo sempre ammirato l’iconografia dei libri antichi, ricchi di arte tradizionale e ben lontani da un concetto di fumetto moderno, mi è venuto spontaneo riproporre questo stile anche nel mio lavoro.

A volte si pensa che il fumetto sia soltanto arte per giovani / giovanissimi. Cosa ti sentiresti di rispondere a queste affermazioni?


Il fumetto, come tutte le arti, si rivolge a diversi tipi di pubblico. Esistono fumetti per bambini, per adolescenti, per adulti. E nessuno ci costringe a rinchiuderci in uno solo di questi settori. Lo stesso vale per la musica, la danza, la scrittura: basta sapere dove cercare e soprattutto AVERE voglia di cercare.

Parlavamo appunto di “Percy’s song”, il tuo graphic novel, edizioni Phoenix Publishing, all’interno del quale hai raccontato una storia commovente, a tratti struggente, di chi si risveglia dopo un lungo sonno e, senza sapere né come né quando, scopre di esser morto e di trovarsi in un limbo, se così possiamo chiamarlo, in attesa di poter entrare nel regno dei morti e poter trovare finalmente la pace eterna.
È una tematica angosciosa, quella della morte, che però sei riuscita a rendere ‘
lieve’. Qual è il segreto di questa magia?

Le motivazioni sono molteplici: da una parte c’è il fatto che la morte non è la vera protagonista di questa storia, ma solo un contesto. Anche se è costantemente presente, non ne percepiamo mai l’effettivo peso. Il protagonista è già morto, quando la nostra storia inizia, quindi in un certo senso, quel passaggio della vita che tanto ci spaventa, è già superato. E non lo distrugge il pensiero di essere morto, quanto la prospettiva di continuare a vivere una vita a metà.
D’altra parte, c’è il fatto che non penso che la morte sia una tematica angosciosa, anzi, è sicuramente affascinante e curiosa: un evento del tutto naturale che ci accomuna tutti e di cui ognuno di noi, ha una differente percezione. Non avevo motivo di dipingerla come qualcosa di angosciante.


Qual è, dunque, l’idea da cui sei partita e quale il messaggio di fondo che il tuo fumetto vuole trasmettere al lettore?


L’idea è partita da un’esperienza personale, un momento della mia vita in cui mi sono trovata a vedere i giorni scorrermi tra le mani, senza sapere cosa farne, come fossi un fantasma. Quando una persona sperimenta una sensazione simile, inizia semplicemente a chiedersi quando questi giorni finalmente finiranno, ma un pensiero simile non trova empatia o comprensione nella nostra società, solo giudizio, da chi è convinto di essere padrone della propria vita e di gestirla al meglio. Il mio fumetto vuole dire a queste persone di fare silenzio e mettere da parte il loro ego, solo per un attimo. Ascoltare e capire.

Tu stessa hai affermato che, nel percorso di costruzione del fumetto, hai confrontato Percy con altri fumetti e la tua tecnica con quella di altri fumettisti rinomati.
Ma quanto è importante la tecnica e quanto il cuore nel tuo lavoro?

La tecnica è quella che ti permette di esprimere quello che hai dentro e metterlo su carta, dargli un ordine, progettarlo, renderlo comprensibile. Il cuore è quello che ti dice che vale la pena passare ore e giorni sulla scrivania, che ne hai bisogno e ti sprona a non cambiare direzione.

Il mondo ormai gira intorno alla dialettica tra tecniche tradizionali ed il nuovo mondo digitale. Detto da una giovane e talentuosa artista cresciuta in questi attuali meccanismi, nel tuo lavoro questi aspetti quanto hanno influito? Come lo vedi il futuro dell’arte del fumetto?


Io apprezzo entrambe le tecniche, e anche se sono più legata al tradizionale, ammetto che la maggior parte degli autori che leggo, lavorano in digitale. E’ un punto di discussione inutile ai fini della crescita del fumetto e probabilmente appartiene maggiormente al mondo del collezionismo. Il vero problema di questo ambiente, non penso sia l’esecuzione, che sta raggiungendo livelli e traguardi sempre più intriganti, quanto il fatto che ci troviamo di fronte alla nascita continua di opere che hanno l’unico scopo d’intrattenere in modo frivolo e spesso lo fanno anche male.

E approdiamo, così, al tuo presente e futuro.
Sei stata ritrattista, copertinista, illustratrice, attualmente colorista e autrice per varie e rinomate case editrici. In quale di questi ambiti ti sei riconosciuta e/o ti identifichi maggiormente?
Hai raggiunto i sogni che conservavi nel cassetto della tua infanzia?


In effetti no. Ciò che vorrei poter fare è lavorare come colorista e avere l’occasione di lavorare ancora su progetti completamente miei. Colorare è qualcosa che mi emoziona, mi diverte e mi mette in contatto con altri disegnatori, m’inserisce in un contesto. Ma sento una forte esigenza di poter raccontare anche qualcosa di mio e di avere un confronto diretto con chi lo leggerà.

Per concludere, trovo sia sempre un punto chiave poter dare un messaggio a chi, come te, ama l’arte del fumetto e vorrebbe intraprendere qualche progetto. Quale consiglio sentiresti di dare a chi, magari più giovane di te, vorrebbe seguire le tue orme?

 Di ricordarsi che non è solo lavoro. Cercare di fare questo mestiere è frustrante, molto e la maggior parte delle volte non si riesce a raggiungere i propri obbiettivi. La cosa importante è non perdere di vista il fatto che prima di tutto lo stiamo facendo per noi stessi: se hai bisogno di staccarti da questo mondo per un po’, fallo. Se non ti senti rappresentato da questo ambiente, non è necessariamente sbagliato: costruisci il tuo e rendilo abbastanza attraente e fruibile, da far venire voglia anche a chi non ti conosce, di entrarci. Ascolta le critiche, mettiti in discussione e non sentirti arrogante se non ti troverai sempre d’accordo, ma considera anche l’idea che esiste gente che ha più conoscenza di te e può aiutarti.  Non ossessionarti con l’idea che se non arrivano riscontri subito, non ne avrai mai. A volte è così, a volte è solo questione di tempo. Ma se davvero il progetto al quale stai lavorando ti appartiene, non hai bisogno di questi consigli. Probabilmente sai già da te che non smetterai di cercare un modo per renderlo reale.