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LA SACRALITA’ DELLE PAROLE

Napoli, 03 Giugno 2023

Elena Esposito

LA SACRALITA’ DELLE PAROLE
C’è bisogno di dare senso alle parole. L’Italia dicono essere una “repubblica democratica”, anche se non viene percepita così in quanto queste due parole, se non sostenute dalla integrità delle Istituzioni che la rappresentano (e che dovrebbero essere i garanti del valore intrinseco del significato), scivolano via dalle coscienze e perdono peso. I ruoli istituzionali, con il massacro delle identità, delle personalità onorevoli, sono stati svuotati di dignità. Il loro lavoro è stato privato della motivazione, della responsabilità patriottica di appartenere ad una comunità da far crescere e quindi è senza volto specifico. La loro Colpa è stata quella di aver acconsentito. Potrebbero essere Uno, nessuno o centomila, nulla cambierebbe perché a nessuno di loro è data l’opportunità di essere. Fanno parte di una partita a scacchi con pezzi trasparenti, perché ciò che conta è stare sulla scacchiera e prendere parte al gioco, non importa né la finalità né da quale parte giochino, tanto nessuno chiede loro nulla. Anche la fatica di una richiesta è stata appiattita perché svuotata di senso. “A cosa serve? Tanto nessuno sente” – come se coloro che “giocano a scacchi trasparenti” non comprendessero più il linguaggio, le necessità, le richieste del LORO popolo; come se non appartenessero più alla comunità iniziale e senza più volto, né colore, nella loro opaca trasparenza, vuoti di significato non siano più in grado di decodificare la realtà, impegnati strenuamente a seguire mosse per stare in campo. E invece ora è il momento di dire loro che se hanno perso la decodifica dei problemi del popolo, se non comprendono la lingua del loro prossimo, che andassero a giocare altrove! Intanto il campo d’azione, la Res pubblica e il suo funzionamento, così come la sua crescita, che dovrebbe interessare tutti ed ognuno, come affari propri da gestire con attenzione e meticolosità viene abbandonata. La delega ha risolto la farraginosa, pesante e faticosa partecipazione, seppur solo di controllo della politica e i malfattori della democrazia hanno approfittato dell’inedia per fare bottino, alimentandosi del patrimonio italiano: Cultura, bellezza, capacità critica, inventiva risolutiva ed imprenditoriale, unicità, originalità, genio. Tutto è stato sacrificato a causa dell’USA…e getta, per mezzo della distruzione del Tempo della riflessione, della negazione dell’impegno certosino e tutto è stato occultato con valanghe di paccottiglie, cineserie, cattivo gusto, sdoganando ruoli e relazioni anche familiari. Per 40 anni (o forse più) si è lavorato per lavare via la nostra italianità, a favore di un’informe massa senza identità né appartenenza. Senza legami alcuni, ma un po’ sì, un po’ no, un po’ acqua e un po’ pan bagnato, un po’ vivo e un po’ no, all’occorrenza. Una popolazione sicuramente sempre più zittita, senza parola, vuoi perché intimorita, obbligata, frastornata e coercizzata, vuoi perché le parole non hanno più il peso delle pallottole che trapassano le menti e scuotono gli animi. Le parole sono divenute dissonanti, per cui è possibile asserire che “la siccità è causata dalle alluvioni”, oppure è possibile sostenere che le parole non servano più neanche a scuola perché ciò che conta è la capacità di competere, di essere competenti per la guerra tra galli, pronti al massacro dell’avversario per la vittoria. E invece no. Il popolo deve parlare, deve potersi caratterizzare e rendere il proprio valore denso e specifico perché libero di generare e trasformare la realtà in direzioni che amplifichino l’umanità, la scintilla identitaria e l’imprevedibile salto nel futuro. Bisogna ridare senso sacro alle parole e ai contenuti della Politica, all’analisi dei significati, alla capacità di espandere le possibilità comunicative. Il pluralismo è valore aggiunto alla comunità umana che conscia di sé esprimerà, a chiare lettere, la sua volontà attraverso i suoi gruppi rappresentativi. C’è bisogno di colore, di spessore, di pesi e misure e di capacità innovative e lungimiranti; c’è bisogno di istituzioni degne, intese come un luogo strategico in cui si articolino rapporti di forze per la risoluzione dei problemi del popolo; c’è bisogno di un’informazione libera, che usi parole pregnanti che raccontino le realtà e c’è bisogno di una comunicazione serrata con i cittadini a sostegno del principio di libertà e di uguaglianza. C’è bisogno di dare senso alle parole.

Sergio Angrisano

Direttore Editoriale - giornalista televisivo e scrittore