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50 anni di Cent’anni di solitudine, si rinnova l’incanto di Macondo

« Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. »

Questa è una delle frasi intrise saldamente nel cuore di chi ha amato Gabriel Garcìa Marquez, nonché l’incipit di quella che è considerata la seconda opera più importante in lingua spagnola dopo il “Don Chisciotte della Mancia”.
Parliamo del rinomato romanzo Cent’anni di solitudine, pubblicato per la prima volta il 30 Maggio del 1967 con il titolo originale di “Cien años de soledad”, e che sin da subito ha avuto un enorme riscontro e successo internazionale.
Tradotto in ben 37 lingue e venduto più di venti milioni di copie, esso ha ottenuto inoltre innumerevoli premi e riconoscimenti, come il “Prix du meilleur livre ètranger” (1969) ed il “Premio Ròmulo gallegos” (1972).
In Italia fu divulgato inizialmente nel 1968 dalla Feltrinelli nella collana “I Narratori“, con traduzione a cura di Enrico Cicogna.

Quel giorno di mezza estate

L’idea di scrivere l’opera, così satura del caratteristico realismo-magico ed influenzata dalle tecniche e dallo stile del Modernismo, scattò nella mente dell’autore durante un usuale tragitto verso la casa di villeggiatura ad Acapulco, quando gli balzò la volontà di scrivere un romanzo con il tono narrativo-epico, proprio quello con cui la nonna gli raccontava le storie fantastiche da bambino.

Ciò non deve portarci però a considerarlo irrealistico o magico, giacché Cent’anni di solitudine altro non è che l’interpretazione metaforica della storia colombiana, dalla fondazione della Colombia moderna alla descrizione dei primi omicidi politici, fino a toccare temi caldi come l’arrivo della tecnologia (cinema, automobile..) e la conseguente depressione economica.
Il tutto è racchiuso nel fantastico microcosmo di Macondo, il villaggio ideato da Marquez e luogo in cui il mistero incontra la bellezza ed il fascino dei personaggi citati nella storia.

Protagonisti infatti sono i membri della famiglia Buendìa, dal capostipite Josè Arcadio al più giovane Aureliano appartente alla settimana generazione. Essi, in un ciclo continuo di eventi che appaiono quasi ripetersi uguali a se stessi, affrontano i cambiamenti, il progresso, le guerre e le avventure dei punti cruciali del racconto, lasciando trasparire tuttavia la propria umanità, le proprie emozioni, paure e sentimenti.
A farla da padrone è l’elemento fantastico, che, posto prevalentemente nella figura di Melquìades, fornisce segni ed input simbolici al lettore, il quale, arrivato all’ultima pagina del libro, ottiene il quadro completo delle vicende, riuscendo così a porre i pezzi del meraviglioso puzzle che Marquez ha creato con la sua straordinaria penna.

E non è un caso se innumerevoli altri autori, cantanti e artisti di qualsivoglia genere si siano ispirati alle storie di Macondo. Un esempio è De Andrè, che nella sua “Sally” ha inserito riferimenti all’opera; o il gruppo musicale Modena City Ramblers, che nell’album “Terra e libertà” ha inserito evidenti citazioni e richiami a quest’ultima.
Ed illimitati sono anche gli studi a riguardo, portati avanti da ricercatori e/o semplici appassionati, che son così riusciti ad inquadrare il romanzo in un contesto ancor più ampio, e riscontrando nelle infinite storie anche altre vive tematiche, come quella della concezione circolare del tempo – ripetuto sempre uguale a se stesso – o i riferimenti al mito di Edipo.

Nel cuore dei lettori

Solitudine, dunque, ma che non ha nulla a che fare con una soledad fisica, quanto piuttosto con il forte contrasto tra l’apertura al progresso, i vivi e dinamici sentimenti dell’animo degli abitanti di Macondo, e le effimere illusioni di cui tuttavia si nutrono, bloccati nel microcosmo psichico da loro ideato e dal quale non trovano via di uscita.
E’ proprio per questo motivo, merito della vitalità e dell’umanità dei protagonisti, che ogni lettore può trovare anche un po’ di sé. Come raccontano migliaia di amatori, che sia nella totalità della persona di Aureliano, di Amaranta, Remedios o Arcadio, oppure nella mescolanza di connotati caratteriali dei vari personaggi, certo è che, sfogliata anche l’ultima pagina del romanzo, ci si sente come persi, nel modo in cui solo i più grandi testi e le più grandi opere riescono a fare.
Come se parte di quel Mondo, anche una microscopica particella di quell’Universo in cui si è stati proiettati, svanisse, portando con sè l’incanto, la meraviglia ed istanti di vita reale che, seppur nell’esigua dimensione di un libro, hanno accompagnato non solo il tempo della lettura, ma anche frammenti della propria esistenza.